Su Formiche Benedetto Ippolito scrive: “L’Italia può vantare attualmente nel suo complesso uno scacchiere di proposte chiare, con due visioni antagoniste, alle quali sarebbe il caso di non muovere rilievi di legittimità. La sinistra deve accettare, in fin dei conti, che esiste una destra culturale forte e democratica in Italia e deve accogliere che non può valere più, posto che sia mai realmente valso, alcun tipo di superiorità morale dei progressisti sui conservatori, e che è perfettamente legittimo per gli italiani poter scegliere un solido, compatto governo di centrodestra senza paure e remore di sorta per la tenuta delle istituzioni. Pensare un’Italia forte, compatta, avanzata, interclassista, consapevole, alla luce della tradizione e dei valori spirituali, della propria identità nazionale da promuovere e affermare in Europa e nel mondo è la vera forza del conservatorismo democratico di oggi. E Giorgia Meloni ha il merito di essere il solido pilota di questo traghettamento finale della destra nella modernizzazione del sistema politico nazionale e internazionale”.
Se dopo il voto la sinistra si libererà di quel personaggio improbabile che è Enrico Lettino (è difficile dar torto a Matteo Renzi che dice: «Se lo fanno segretario della Nato, la Russia arriva in Portogallo») e nominerà una persona seria tipo Stefano Bonaccini, il percorso indicato da Ippolito si completerà e l’Italia potrà acquisire quell’autonomia d’iniziativa che nasce dal bilanciamento del sistema politico.
Su Startmag si riportano queste considerazioni di Marco Follini su Bruno Tabacci e Pierferdinando Casini: «Li conosco bene come dirigenti di valore. I loro interventi parlamentari, le loro interviste, i loro pronunciamenti recano tracce di una abilità politica non comune, seppure a volte diversa tra di loro e diversa da molti altri di noi. Del resto, la scuola è maestra di vita, e anche di buona politica; e noi abbiamo avuto la fortuna di crescere tra buoni maestri. Ma è proprio per questo che la notizia che circola di una loro candidatura (che non se la prendano: l’ennesima) desta in me un sentimento di mestizia. Come se non riuscissero mai, dopo tanti e tanti anni trascorsi nelle aule parlamentari, a lasciare il passo, incoraggiare nuovi talenti, fare strada ad altri, insomma vedere le cose da fuori facendole contare per quello che sono davvero».
Tempi davvero strani questi. L’altro giorno mi trovavo d’accordo con Fausto Bertinotti che ricordava come la sinistra non si possa porre come unico obiettivo quello di rappresentare le élite. Oggi apprezzo queste parole di Follini su come e quando si debba abbandonare le luci della ribalta per salvare la propria dignità. Ottime lezioni (su cui anch’io dovrei meditare) su come si debba procedere nell’età senza diventare vecchi malvissuti di tipo manzoniano.
Su Dagospia si scrive: “L’hanno ribattezzata operazione Scoiattolo (al contrario) ed è la strategia sognata da Italia viva, con l’appoggio di un gruppo di futuri ex parlamentari di Forza Italia (capitanati dal senatore Luigi Cesaro, ai più noto come Giggino ‘a purpetta). L’idea è quella di ‘bucare’ il prossimo Parlamento: ovvero fomentare scissioni nei gruppi parlamentari avversari. L’idea dei vertici di Italia viva – espressa nel corso di una cena in un ristorante romano a due parlamentari da sempre vicini a Cesaro – sarebbe quella di infilare dei veri e propri «cavalli di Troia» nelle liste di Forza Italia, grazie alle coperture offerte dai congiurati azzurri. Appena eletti, i neo-parlamentari dovrebbero passare in un gruppo parlamentare di centro, da costituire appositamente”.
Di questi giorni se ne sentono di tutti i colori, c’è un ampio settore dell’establishment che non si fa una ragione del fatto che i prossimi scenari politici potrebbero essere definiti dal voto degli elettori invece che da intrighi romani e influenze innanzitutto internazionali.
Sugli Stati Generali Paolo Natale scrive: “La loro forza elettorale è stimata nel 6-7%, un risultato che darebbe solamente una sorta di diritto di tribuna, senza una pattuglia di parlamentari consistente in grado di dar fastidio alla coalizione che vincerà (cioè quella di destracentro, come l’ha definita Max Panarari). L’idea di un ‘grande centro’ alla Macron poteva diventare effettivamente un tassello importante per un cambiamento radicale della politica italiana, abbarbicata sulla contrapposizione destra-sinistra dall’avvento di Berlusconi in poi, con l’intervallo pentastellato ora in chiaro deficit di consensi. Ma i piccoli Macron nazionali non hanno la stessa attrattività del ‘collega’ transalpino e dunque il centro rimane troppo ristretto per diventare l’ago della bilancia della formazione dei governi locali”.
Emmanuel Macron ha enormi difficoltà strategiche (dopo di lui, è probabile il ritorno di una classica dialettica destra-sinistra) anche in Francia, dove pure ha il supporto di un fortissimo establishment sia di cultura laicista sia solido nella finanza, figurarsi se è in grado di esportare un modello come il suo in un’Italia dove non esiste un establishment laicista analogo a quello d’Oltralpe e dove la grande finanza è boccheggiante. Infatti all’Eliseo non è venuto in mente di replicare l’operazione “En marche” a Roma, puntando piuttosto sul commissariamento del Pd con un prefetto Enrico Lettino che però si è rivelato una sorta di ispettore Clouseau. I due pasticcioni azion-italianvivisti sono da una parte un residuo senza consistenza (la Grande bullezza di Roma, Carlo Calenda) della rete francese di Luca Cordero di Montezemolo, e dall’altra un esponente di ambienti dell’anglosfera però troppo guidati dagli americani piuttosto che da inglesi o israeliani, e quindi tendenzialmente impolitici e dunque destinati, nonostante l’abilità – tarata però dall’arroganza e dalla fragilità della sua cricca a “chilometro zero” – di Matteo Renzi, a fallire. Al ritorno di un’autonomia dell’iniziativa politica italiana che potrà riprendere un ruolo internazionale dentro le alleanze, ma non sotto queste, dunque, non serve il centro ben descritto da Natale ed è probabile che gli elettori se ne accorgano.
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