Lettere dalla fine del mondo

Com’è difficile accettare che Dio affidi la Sua opera a questo povero diavolo

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’8 di settembre, festa di Maria bambina, ho compiuto 28 anni di presenza in Paraguay. Una data importante per me e per i miei poveri, inizio di un cammino che mi ha portato nelle alte e bellissime cime della carità. Certamente quell’8 settembre non potevo immaginare il progetto che Dio aveva su di me, e cosa avrebbe fatto con questo povero peccatore. Il sentiero che mi ha portato fin qui è stato molto difficile, e più volte davanti a ostacoli, incomprensioni e cadute sono stato tentato di tornare a casa. Ho dovuto sottomettermi persino a un esame psichiatrico. Più di uno ha pensato che fossi diventato matto, e chissà, forse con ragione, perché facevo cose incomprensibili ai paladini del razionalismo di chi guarda la realtà non per quello che è ma per quello che pensano debba essere.

Ricordo la sera di alcuni anni fa in cui, tornando a casa, trovai ad aspettarmi un amico ex presidente della Repubblica insieme a un altro amico sacerdote. Andammo nel mio ufficio. Il dialogo durò due ore. Volevano convincermi a tornare in Italia o andare in un altro paese. L’importante era che mi allontanassi dal Paraguay. Lo stesso ex presidente era disposto ad accompagnarmi. Io però, con la testa dura di un montanaro, ho detto no in assoluto. Come può un padre abbandonare un figlio? «Non importa come sia stato concepito – mi dirà il mio padre spirituale –, questo figlio c’è e sta crescendo. La paternità biologica non può essere più importante di quella spirituale».

Seconda “barzelletta”. Una mattina la suora che, se Dio vuole, mi succederà nella guida dell’opera quando morirò, entra nella casa che condivido con sei anziani e trova un piccolo Torquemada impegnato a svuotare nel lavandino della cucina le tre bottiglie di liquore che da mesi riposavano nell’armadio del salotto. La suora si avvicina e chiede il perché di quel gesto, riuscendo a salvare una bottiglia. Cosa era successo? Il giorno prima questo “maestro della legge” mi aveva visto prendere un grappino dopo pranzo, quindi padre Aldo era diventato un possibile ubriacone. Oggi rido pensando all’accaduto, ma in quel momento la sofferenza ha messo a dura prova la mia fede, che però non ha mai vacillato, perché avevo chiaro che questo piccolo villaggio della carità non è un’opera mia, ma della Divina Provvidenza, e che se fosse dipeso da me non sarebbe mai nata o da tempo sarebbe un cumulo di macerie.

C’è una ragionevolezza nel dolore
Pensando alle tante difficoltà affrontate fino ad ora – ho 70 anni – non mi sorprende che sia difficile capire il perché Dio si serva di un povero diavolo o di un matto per realizzare un’ opera che manifesta la sua infinita misericordia. Dai frutti, però, si riconosce l’albero, e «contra facta non valent argumenta». E poi la visita alla clinica di papa Francesco e il suo incoraggiamento ad andare avanti: quale segno di amore più grande poteva darmi il buon Dio?

A questo punto lascio la parola a una giovane donna ammalata di Aids che si trova nella nostra clinica e a una ragazza violentata ospite del nostro “hogar”. Premetto: «Non a me, Signore, ma al tuo nome da’ gloria», perché l’affetto e la gratitudine che testimoniano alla mia persona di fatto è un gesto di riconoscenza al buon Gesù che si serve di inutili strumenti per manifestare a poveri e sofferenti la sua predilezione.

«Caro padre Aldo, ti scriviamo a nome degli ammalati in occasione dell’anniversario del tuo arrivo in Paraguay. Ringraziamo Dio per averti inviato qui ad assisterci, proteggerci e difenderci, perché questo è il tuo grande orgoglio, proteggere e aiutare i poveri affinché non manchi loro nulla, come un padre responsabile dei suoi figli. Noi ti difenderemo in ogni modo contro le ingiurie, le male lingue, le gelosie di certa gente che parla tanto per parlare non conoscendo il tuo cuore, ma le opere sono fatti e non parole. Ti affidiamo alla Madonna, che ti dia salute e ti lasci ancora molto tempo con noi. Con affetto, i tuoi figli della clinica di cure palliative Don Luigi Giussani».

«Caro padre Aldo, chiedo al Signore che stia sempre con noi, come il papà o il nonno che non abbiamo mai conosciuto. Grazie per essere venuto in Paraguay, conquistando migliaia di persone, toccando il cuore in particolare degli ammalati, dei bambini, dei giovani e degli anziani. Se non mi avessi accolta con la mia bambina di sei mesi, ora sarei in strada a cercare cibo nell’immondizia, dormendo sotto un ponte. Con molto affetto, la tua figlia Maria e la tua nipote Ayelen».

Da ultimo, un sms del presidente della Repubblica: «Caro padre, sei un dono per tutto il paese. Voglio che tu sappia che ti voglio molto bene e che sempre sarò a tua completa disposizione!».

Di fronte a tanta tenerezza, riconosco una ragionevolezza nell’esser dovuto passare per lungo tempo attraverso le forche caudine, sostenuto dalla Madonna. «È necessario soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina» scriveva Mounier. Che ci piaccia o no!

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