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Bill De Blasio. E se fosse la versione newyorkese di Pisapia?

Come il sindaco di Milano, anche il primo cittadino di New York ha promesso in campagna elettorale di colmare il divario fra ricchi e poveri. Ma c'è un piccolo problema: non ha i poteri per farlo

Redazione
07/11/2013 - 12:56
Esteri
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Il neo-sindaco di New York, Bill De Blasio, riuscirà a portare a compimento la sua annunciata rivoluzione democratica? Riuscirà a colmare il divario fra ricchi e poveri newyorkesi, come ha promesso durante la vincente campagna elettorale? Una cosa è certa: prima dovrà fare i conti con i limitati poteri da primo cittadino. E allora anche la favola del sindaco liberal di origini pugliesi potrebbe rivelarsi una triste illusione, come il “yes we can” di Barack Obama e le nostrane rivoluzioni arancioni – e mancate – di Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris.

POTERI LIMITATI. A gelare i diffusi entusiasmi è Jiulia Vitullo-Martin, direttrice del Centro per l’innovazione urbana di New York e ricercatrice del think tank conservatore Manhattan Institute, che ad Avvenire spiega che è «davvero limitato» quello che può fare De Blasio. «Un sindaco»,  ricorda Vitullo-Martin sul quotidiano, «non può intervenire sulla macroeconomia nazionale», «non controlla la Banca centrale», «non influisce sulla politica monetaria» o sul «commercio estero». Il sindaco di New York, prosegue l’intellettuale conservatrice, «non determina la politica fiscale» e «gli aumenti delle tasse per i più ricchi che propone devono essere approvati dall’Assemblea statale, così come ogni aumento del salario minimo per i lavoratori della città». In teoria De Blasio «può aumentare gli stipendi dei dipendenti comunali» ma «la città non se lo può permettere», soprattutto se il neo-sindaco intende  «anche creare asili pubblici per tutti i bambini dai quattro anni in su e programmi per il doposcuola». Per i 200 mila nuovi appartamenti promessi da De Blasio, secondo Vitullo-Martin «non c’è spazio» a New York.

IL PRECEDENTE: DICKINS. La morale delle due città di De Blasio, che sottolinea il divario fra i ricchi e i poveri abitanti della Grande Mela, è stata, secondo l’inviato del Foglio, Mattia Ferraresi, «un efficace grimaldello ideologico da campagna elettorale», ma «poi c’è la realtà, in cui “non esiste un modo democratico o repubblicano di riparare una fogna”, come diceva Fiorello La Guardia». Anche David Dickins, l’ultimo sindaco democratico della Grande Mela, vagheggiava la rivoluzione liberal e alla fine è stato costretto a «confezionare il durissimo piano anticrimine portato a compimento da Rudy Giuliani e che De Blasio ha usato come idolo polemico per vincere la battaglia», ricorda Ferraresi.

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MARKETING POLITICO. Sempre sul Foglio di oggi, il commentatore Lanfranco Pace demitizza la figura di De Blasio, architettata nel dettaglio dai suoi spin doctor. Il sindaco non è certo il “comunista” rivoluzionario raffigurato nella copertina del New York Post di lunedì. Molto più modestamente rappresenta, secondo Pace, il «trionfo della discontinuità con il modello politico e antropologico» degli ex primi cittadini Rudy Giuliani e Michael Bloomberg «che ha dominato una lunga stagione andando a braccetto con i detestati banchieri di Wall Street». De Blasio ha vinto perché ha interpretato il bisogno di cambiamento, ma soprattutto «perché piace». E «piace perché è un’icona prevedibile, il crocevia di tutta la correttezza politica possibile e immaginabile»: «Una famiglia sorridente dove ognuno recita la parte come un attore consumato». L’unica originalità, Pace la trova nel «cambiamento delle preferenze sessuali controcorrente di Chirlane», la moglie, ex lesbica, convertita all’eterosessualità dall’amore per Bill. Questa, conclude Pace, «è una novità, il resto è secondo copione del buon marketing politico».

Tags: bill de blasioliberalMichael Bloombergpartito democraticopartito repubblicanorudolph giuliani
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