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Bianchezza rima con colpevolezza. L’antirazzismo manda nel caos le scuole di New York

Anche il Times si è accorto che l'educazione antirazzista è diventata una caccia alle streghe. Esempi di indottrinamento nelle aule della Grande Mela

Rodolfo Casadei
01/09/2021 - 3:30
Esteri
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Black Lives Matter, cartello

C’è qualcosa che sta sfuggendo di mano nella lotta al privilegio razziale bianco, e questo qualcosa si manifesta in modo peculiare nelle scuole private d’élite, dove l’educazione antirazzista è diventata qualcosa di molto simile al lavaggio del cervello e al pretesto per cacce alle streghe, in un clima di ipocrisia e di delazioni.

Se ne è convinto anche il progressista New York Times, che in un servizio di domenica scorsa sull’antirazzismo nelle scuole racconta le disavventure di un insegnante di matematica dell’esclusiva Grace Church School di New York. Come altre scuole private, essa incoraggia la partecipazione degli studenti a gruppi affini per identità razziale ai quali viene poi separatamente insegnato cosa sia il privilegio razziale e cosa la discriminazione.

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Supremazia bianca

Nel febbraio scorso il professor Paul Rossi e il gruppo «che si identifica come bianco» si sono incontrati con un esperto in diseguaglianza razziale che ha stilato l’elenco delle caratteristiche della “supremazia bianca”. Queste sarebbero l’individualismo, il culto della parola scritta e l’obiettività. Il professore ha eccepito che un attributo umano come l’obiettività non poteva essere ridotto a un tratto razziale, e si è sentito rispondere che i suoi erano “sentimenti bianchi”. A quel punto anche gli studenti si sono ribellati. «Sono stanca di essere ridotta alla mia razza. Il primo passo dell’antirazzismo è di razzializzare ogni singola dimensione della mia identità», ha detto una ragazza. «Combattere l’indottrinamento con un altro indottrinamento può essere pericoloso», ha aggiunto un’altra.

La piccola rivolta ha innescato una immediata rappresaglia. La dirigenza della scuola ha accusato Rossi di «creare uno squilibrio neurologico negli studenti». Una nota del preside è stata letta in tutte le classi: «Quando qualcuno infrange l’etica professionale, la risposta comprende l’ammonizione che un ulteriore incidente di condotta non professionale potrà portare al licenziamento». La scuola ha poi condizionato il rinnovo del contratto al prof. Rossi alla sua partecipazione a non meglio precisate “pratiche riparative” per l’asserito danno causato agli studenti. Il docente ha rifiutato l’offerta e ha lasciato la scuola.

Come gli assalitori di Capitol Hill

Le cose sono andate in modo molto diverso alla Dalton School, sempre a New York, dove le famiglie hanno giudicato che i contenuti del curriculum antirazzista avevano passato il segno: fra le proposte del preside, sostenute da 100 insegnanti e membri dello staff, c’era quella di abolire i corsi avanzati nei quali gli studenti afroamericani avevano ottenuto risultati peggiori degli studenti non afroamericani.

Le famiglie degli studenti, che fino a quel momento avevano lasciato fare, si sono inalberate contro la proposta senza distinzione di razza o di etnia, e alla fine il preside che si era fatto portatore dell’iniziativa e il “responsabile per la diversità” si sono dovuti dimettere. Benché dimissionario, il preside ha convocato un incontro con Rodney Glasgow, un “consulente per la diversità” di una scuola privata quacchera del Maryland. Costui ha definito le scuole private “cariche di insidiosa bianchezza” e “create per replicare la mentalità della piantagione”. I genitori che hanno spinto il preside alle dimissioni sono stati paragonati agli assalitori di Capitol Hill. L’intervento è rimasto per qualche tempo sul sito internet della scuola, poi è stato tolto per le proteste che aveva sollevato.

La “scuola antirazzista”

Il panorama generale è inquietante. Alcuni esempi: la Brearley School si è proclamata “scuola antirazzista” e ha reso obbligatori corsi di antirazzismo per genitori, personale docente e non docente e membri del Consiglio di amministrazione; caldeggia la partecipazione a incontri periodici di gruppo riservati per razza o genere sessuale.

I bambini della scuola materna della Riverdale Country School nel Bronx imparano a identificare il colore della loro pelle mescolando le varie tinte a tempera. Uno dei responsabili l’anno scorso ha inviato una email che invitava i genitori a non parlare di irrilevanza del colore e a «riconoscere le differenze razziali». Dichiara un genitore che ha ritirato il figlio dalla Riverdale e che ha creato addirittura una fondazione contro questo genere di educazione antirazzista: «Questa insistenza nell’insegnare la consapevolezza razziale rappresenta un fondamentale scivolamento in una specie di tribalismo».

L’antirazzismo di comodo

La crociata antirazzista delle scuole private newyorkesi fondata sui contenuti della discussa teoria critica della razza lascia scettici parecchi e suscita ironie: si tratta di istituti che esigono dalle famiglie rette fra i 53 mila e i 58 mila dollari (45-49 mila euro) e i cui presidi guadagnano fra il mezzo milione e il milione di dollari all’anno. Queste scuole non forniscono dati precisi sulla composizione demografica delle scolaresche, diversamente dalle scuole pubbliche.

Secondo le statistiche dell’Associazione delle scuole indipendenti di New York City la percentuale di studenti nelle scuole di élite che si identifica come afroamericana e latina non supera il 12 per cento, in una città dove neri e latini rappresentano il 50 per cento della popolazione.

Dichiara al New York Times Chloé Valdary, afroamericana consulente per la diversità in alcune scuole della città: «L’antirazzismo mette in secondo piano la diseguaglianza di reddito e non minaccia per nulla l’élite».

Foto Ansa

Tags: antirazzismoNew YorkScuola
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