BHL, il paraguru che le azzecca tutte (al contrario)
Finché Bernard-Henri Lévy continuerà ad occuparsi di loro, Matteo Salvini e Viktor Orbán possono dormire sonni tranquilli. Il filosofo più bello di Francia, che può sbagliare un sillogismo ma non una camicia, ha scritto su Libération e ieri sulla Stampa un “Manifesto per l’Europa contro populisti e sovranisti”.
Saviano e Magris
Con somma modestia, Lévy presenta l’agire suo e di altri pensatori e filosofi come «un’Accademia dei sogni, un Concilio di Trento improvvisato che si è riunito per chiamare a raccolta, esortare a essere vigili, mandare un SoS».
Il tono è melodrammatico, il climax ascendente:
«L’Europa, questa chimera senza sostanza, questo animale-macchina privo del cuore e dell’anima come quelli descritti da Cartesio, questa favola senza futuro derisa dai populisti, ecco ora ha trenta volti che testimoniano la loro fratellanza».
All’interno vi si legge il “Bernard-Henri-Lévy-pensiero” secondo cui non sarebbe chiaro se l’Europa ha un’identità «cristiana o ebraica, greca o romana», ma è certo che ha un debito di riconoscenza verso
«alcuni dei suoi possibili volti: il coraggio di Roberto Saviano di fronte ai meschini attacchi mafiosi o ministeriali; il cosmopolitismo vissuto del triestino Claudio Magris; il gelido surrealismo di Herta Müller; l’ironia di Rushdie, Kundera o di Elfriede Jelinek, come acido sul metallo falso dei dogmi».
Lo spocchioso
E, insomma, avete capito il genere: supercazzola impomatata per dare addosso agli «speculatori della miseria che sono la Fidesz, la Lega o il PiS».
Davvero, se si vuole fare un regalo a Salvini e sovranisti vari, non esiste niente di meglio che intemerate di siffatta risma. È esattamente grazie a questo spocchioso senso di superiorità che i cosiddetti populisti di ogni ordine e grado fanno fortuna. La sinistra proprio non riesce a capirlo, come ha spiegato bene ieri Luca Ricolfi a Libero.
Gaffe clamorose
A dirla tutta, BHL ha anche una sua utilità. Infatti ogni suo pensiero è utile per capire che è vero il suo contrario. Fu lui – «il filosofo più potente del mondo», come ebbe a definirlo Foreign Policy – a convincere Nicolas Sarkozy a intervenire in Libia. E sappiamo come è andata a finire (o meglio: a “non finire”).
Fu sempre lui, con una topica clamorosa, a inserire in un suo libro (De la guerre en philosophie, 2010) l’elogio del filosofo neokantiano e sessuomane Jean-Baptiste Botul che poi si scoprì essere un’invenzione di Frédéric Pagès, firma del settimanale satirico Le Canard enchaîné. Che è un po’ come se oggi Massimo Cacciari citasse come punto di riferimento degli studi sulla Fenomenologia dello spirito di Georg Wilhelm Friedrich Hegel l’esimio professore Checco Zalone.
Il bel paraguru
Per capire chi è Levy non c’è modo migliore che andarsi a rileggere l’esilarante ritratto che ne fece sul Foglio Giulio Meotti (Il bel paraguru) in cui s’elencavano tutti i complimenti dei suoi numerosi estimatori: «Un uomo perduto per la verità» (Raymond Aron); «un disc jockey delle idee» (Nouvel Observateur); «un mediocre candidato al baccalaureato» (Pierre Vidal-Naquet).
Con qualche lodevole eccezione, BHL è sempre stato dalla parte in cui la corrente tira più forte: definì La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci un libro razzista, paragonò Cesare Battisti a Alfred Dreyfus, diede del mediocre ad Aleksandr Solženicyn. Uno così non poteva che essere il pupillo di Jean-Paul Sartre.
Ora che ha firmato questo manifesto antipopulista, i populisti possono gioire. BHL s’è lanciato in questa previsione: «Scommetto che Renzi e Macron vinceranno le elezioni europee. Mentre Salvini prenderà una bella mazzata. Viva le élite se hanno il pensiero di Eugenio Scalfari o di Matteo Renzi». Sempre viva. Salvini e Orban hanno stappato lo champagne.
Foto Ansa
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