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Beppe Sala e il tram a 2 euro. O di come non si deve gestire un servizio pubblico

Tre motivi per cui la scelta della giunta di Milano di aumentare (di nuovo) il biglietto Atm è tutta politica. Troppo facile nascondersi dietro scarsità di risorse e battaglie ambientali

Matteo Forte
21/06/2019 - 2:30
Politica
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Il sindaco di Milano Giuseppe Sala

Nuovo aumento del costo del biglietto del tram: da 1,50 a 2 euro. Nuovo, perché già la giunta Pisapia lo alzò da 1 euro a 1,50. Due nuove linee metropolitane, prolungamenti, riduzione di trasferimenti da parte dello Stato destinati al trasporto pubblico locale (Tpl): tutti questi elementi concorrono alla necessità di trovare modalità per tenere in equilibrio un servizio per il quale nel 2021 mancheranno 171,7 milioni. Al di là dei sistemi di calcolo messi in campo dai tecnici dell’Agenzia di bacino competente per l’area metropolitana di Milano e le province di Lodi, Pavia e Monza e Brianza, il tema è tutto politico. Per tre ragioni. 

UNA SCELTA CHE HA UN NOME E UN COGNOME

La prima: la scelta di ritoccare le tariffe giunge sì dall’Agenzia competente prevista dalla normativa regionale, ma questa è in mano per il 62% al sindaco pro tempore del Comune di Milano e al sindaco pro tempore della Città metropolitana di Milano, che risulta essere in entrambi i casi Giuseppe Sala. L’azionista di maggioranza, quindi, ha scelto l’aumento del biglietto. Non riconoscere questo semplice dato, e spiegare ai cittadini le nuove tariffe con la decisione di un’anonima organizzazione gestita da non si sa bene chi, significa contribuire ad indebolire ulteriormente la politica e le istituzioni.

Le decisioni che toccano la vita dei cittadini non piovono dal cielo, come fossero irreversibili e immodificabili. Sono frutto di opzioni che possono e devono essere discusse pubblicamente ed eventualmente sanzionate dal voto. Delle assemblee rappresentative prima e degli elettori dopo. Nascondersi dietro enti sovracomunali, agenzie e funzionari anonimi – come in questi anni di austerity lo si è fatto analogamente con agenzie di rating o con le vetrate dei palazzi di Bruxelles – alimenta solo chi fa dell’antipolitica la propria fortuna elettorale. Pensando di sollevarsi da una responsabilità, si ottiene l’effetto di portare acqua al mulino di quanti sostengono che ormai la democrazia rappresentativa sia inutile e da archiviare. Questo è un grave errore politico dell’amministrazione guidata da Beppe Sala, che anche per ciò non esito a definire tecnopopulista.

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ALTRO CHE ECOLOGIA: OPERAZIONE “DI CASSA”

Seconda questione. Le giunte Pisapia prima e Sala poi hanno preso voti sostenendo la volontà di ridurre il traffico per ridurre l’inquinamento dell’aria. Obiettivi condivisibili, ma non si capisce per quale motivo questi debbano essere raggiunti con l’aumento di un terzo per il 23% dei viaggi annui degli utilizzatori dei titoli del Tpl a Milano. «Si vuole favorire la “migrazione” dal biglietto all’abbonamento», si dice. Eppure anche il 52% costituito dagli abbonamenti mensili subisce un rincaro complessivo di 48 euro. Aumentare il costo di un servizio semplicemente ne disincentiva l’uso. Sembra una scelta del tutto incoerente, se non schizofrenica.

Appare dunque più ragionevole ipotizzare che sia in atto una mera operazione “di cassa” visto che, secondo le previsioni, questa nell’immediato genererà 51 milioni di maggiori introiti nel bilancio di Palazzo Marino. Nuove entrate che alimenteranno la generale spesa corrente del Comune, dal momento che la maggioranza ha bocciato le proposte di chi scrive per vincolare tali risorse a fondi destinati a sostenere la domanda degli utenti più in situazione di bisogno.

PUBBLICO SOLTANTO DI NOME

Terza questione politica. Si parla dell’Agenzia di bacino come competente ai sensi della legge regionale n. 6/2012. Tuttavia quella legge recita all’articolo 7, comma 3, che l’Agenzia ha poteri di «programmazione, organizzazione, monitoraggio, controllo e promozione del trasporto pubblico locale». Su cosa non ha competenza l’Agenzia? Sulla gestione ed erogazione del servizio. Quindi, quando per quest’ultimo si pone – come oggi si pone – il problema della sua sostenibilità sul lungo periodo, lo si può fare non per forza ragionando sulle sempre più ristrette risorse pubbliche, perché all’articolo 13, lettera f), della suddetta legge regionale si lascia aperta la possibilità di «affidamento dei servizi, nel rispetto della normativa vigente, per l’intero bacino […], secondo criteri di terzietà, indipendenza e imparzialità».

I costi, ad oggi, ricadono tutti sempre e solo sul cittadino, tanto nella sua veste di utente che di contribuente. I calcoli della stessa amministrazione ci informano che già attualmente – solo per la parte comunale, al netto dei trasferimenti statali che comunque gravano sulla fiscalità generale – ogni milanese contribuisce per 104,3 euro al funzionamento del trasporto pubblico. La spesa del contratto di servizio tra Comune e Atm è infatti di 730 milioni di euro annui, così ripartiti: il 33,4% è coperto da Stato e Regione, cioè da tutti i contribuenti; il 48,8% dalla bigliettazione; il 5% dal Comune, cioè dalla tassazione locale. Alla fine sono sempre i milanesi che si fanno carico di pagare due volte il Tpl. Servizio che, è bene ricordarlo, nell’ultimo anno ha generato per Palazzo Marino un utile di 39 milioni.

Allora, se c’è il tema di come sostenere i costi e nella stessa legge regionale, dietro cui pure si vuole nascondere la scelta di aumentare il biglietto, si apre alla possibilità di affidare il servizio e di aprirlo ad altri soggetti che mettano a disposizione ulteriori risorse private, questo è un ragionamento da fare. Certo, soggetti privati che immettono nuovi capitali vorranno fare utili (come del resto già ne fa l’amministrazione comunale!). Tuttavia in quest’ottica sarebbe anche più comprensibile l’aumento del biglietto: lo Stato riduce i trasferimenti di risorse pubbliche, per risparmiare e magari ridurre pure le imposte; i privati compensano con proprie risorse anche in un’ottica di profitto.

Fino ad ora invece il Comune di Milano ha promosso la politica della “botte piena e della moglie ubriaca”. È una politica per cui il valore sociale del Tpl deve essere garantito solo ed esclusivamente dal pubblico, ma quest’ultimo finisce per comportarsi come un qualunque attore privato che innalza le tariffe ai livelli delle altre grandi città europee, dove per l’appunto spesso non sono gli enti pubblici a gestire il servizio. Quella della “botte piena e della moglie ubriaca” è dunque una gestione iniqua per contribuenti ed utenti, che poi in questo caso coincidono.

UNO STRANO TEMPISMO

Se l’ente pubblico si deve comportare come i privati, tanto vale aprire ai privati. Ma deve farlo prima di aumentare le tariffe, non in contemporanea, come sembrerebbe leggendo indiscrezioni giornalistiche circa la creazione di un consorzio attraverso il coinvolgimento di un mix di imprese pubbliche-private che, rilevando la gestione dei trasporti e anticipando i soldi per nuovi interventi e investimenti sulla rete comprensiva di tutta l’area di bacino, rientrerebbero dalla spesa proprio attraverso biglietti e abbonamenti. Lo deve fare prima, altrimenti cresce l’idea che gli aumenti delle tariffe in discussione servano solo per “apparecchiare la tavola” ad altri già noti.

Matteo Forte, autore di questo articolo, è capogruppo di Milano popolare nel Consiglio comunale di Milano

@TeoForte

Foto Ansa

Tags: atmBeppe Salagiuliano pisapiaMilanotrasporto pubblico locale
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