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Benedetto XVI al Sinodo: «La Chiesa esiste per evangelizzare»

Le parole del Papa all'inaugurazione del Sinodo dei vescovi. Il richiamo alla missione e al sacramento del matrimonio e alla crisi della fede. E proclama due nuovi dottori della Chiesa: san Giovanni di Avila e Ildegarda di Bingen

Redazione
08/10/2012 - 20:34
Chiesa
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di Massimo Introvigne, tratto da ZENIT.org.- Con una solenne concelebrazione Benedetto XVI ha inaugurato il 7 ottobre 2012 la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, ricordando anche che il prossimo 11 ottobre, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, si aprirà anche l’Anno della fede.

Dalle letture liturgiche del giorno il Papa ha tratto due meditazioni. La prima riguarda l’invito di san Paolo a tenere sempre fisso lo sguardo sul Cristo «coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto» (Eb 2,9). «La Parola di Dio – ha detto il Pontefice – ci pone dinanzi al Crocifisso glorioso, così che tutta la nostra vita, e in particolare l’impegno di questa Assise sinodale, si svolgano al cospetto di Lui e nella luce del suo mistero. L’evangelizzazione, in ogni tempo e luogo, ha sempre come punto centrale e terminale Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio (cfr Mc 1,1); e il Crocifisso è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo». Solo avendo per centro il Crocifisso, e non noi stessi, profitteremo davvero del Sinodo e dell’Anno della Fede, faremo davvero «nuova evangelizzazione».

Ma che cos’è la nuova evangelizzazione? È proprio quando tutti ne parlano che occorre chiarirlo di nuovo, per evitare che si riduca a uno slogan. Anzitutto, ricorda Benedetto XVI, «la Chiesa esiste per evangelizzare». È questo il suo scopo. E la storia dell’evangelizzazione è ricca di pagine straordinarie. «Basti pensare all’evangelizzazione dei popoli anglosassoni e di quelli slavi, o alla trasmissione del Vangelo nel continente americano, e poi alle stagioni missionarie verso i popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania». Né è fondato un pessimismo sui tempi più recenti. In realtà, «anche nei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa un nuovo slancio per annunciare la Buona Notizia, un dinamismo spirituale e pastorale che ha trovato la sua espressione più universale e il suo impulso più autorevole nel Concilio Ecumenico Vaticano II».

Nel XX secolo abbiamo compreso che l’evangelizzazione ha due «rami», «vale a dire, da una parte, la missio ad gentes, cioè l’annuncio del Vangelo a coloro che ancora non conoscono Gesù Cristo e il suo messaggio di salvezza; e, dall’altra parte, la nuova evangelizzazione, orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana». Il Sinodo che si apre è dedicato alla nuova evangelizzazione, ma «ovviamente tale orientamento particolare non deve diminuire né lo slancio missionario in senso proprio, né l’attività ordinaria di evangelizzazione nelle nostre comunità cristiane. In effetti, i tre aspetti dell’unica realtà di evangelizzazione si completano e fecondano a vicenda».

Il Vangelo del giorno annuncia l’insegnamento cristiano sul matrimonio, che «si può riassumere nell’espressione contenuta nel Libro della Genesi e ripresa da Gesù stesso: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 2,24; Mc 10,7-8)». Questa parola della Scrittura contiene un insegnamento molto profondo per noi oggi: «che cioè il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato». Il matrimonio è in se stesso nuova evangelizzazione. «L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare “un’unica carne” nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con una eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore, perché purtroppo, per diverse cause, il matrimonio, proprio nelle regioni di antica evangelizzazione, sta attraversando una crisi profonda».

Mentre sta per aprirsi l’Anno della fede, il Papa ha anche voluto ricordare che, dove c’è crisi del matrimonio, lì c’è una crisi della fede. «E non è un caso. Il matrimonio è legato alla fede, non in senso generico. Il matrimonio, come unione d’amore fedele e indissolubile, si fonda sulla grazia». E noi «oggi siamo in grado di cogliere tutta la verità di questa affermazione, per contrasto con la dolorosa realtà di tanti matrimoni che purtroppo finiscono male. C’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio».

«Una delle idee portanti del rinnovato impulso che il Concilio Vaticano II ha dato all’evangelizzazione – ha proseguito il Papa – è quella della chiamata universale alla santità, che in quanto tale riguarda tutti i cristiani». Riguarda gli sposi cristiani non meno dei sacerdoti e di chi sceglie la vita religiosa. E invita tutti a guardare ai santi, che sono «i pionieri e i trascinatori della nuova evangelizzazione: con la loro intercessione e con l’esempio della loro vita, attenta alla fantasia dello Spirito Santo, essi mostrano alle persone indifferenti o addirittura ostili la bellezza del Vangelo e della comunione in Cristo, e invitano i credenti, per così dire, tiepidi, a vivere con gioia di fede, speranza e carità».

Nella Messa del 7 ottobre Benedetto XVI ha proclamato due nuovi Dottori della Chiesa. Il primo è san Giovanni di Avila (1499-1569). Di questo «profondo conoscitore delle Sacre Scritture» il Pontefice ha detto che «era dotato di ardente spirito missionario. Seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio, univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò alla predicazione e all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa».

La seconda è santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), una figura molto cara a Benedetto XVI che ha ricordato come la benedettina tedesca abbia «offerto il suo prezioso contributo per la crescita della Chiesa del suo tempo, valorizzando i doni ricevuti da Dio e mostrandosi donna di vivace intelligenza, profonda sensibilità e riconosciuta autorità spirituale. Il Signore la dotò di spirito profetico e di fervida capacità di discernere i segni dei tempi. Ildegarda nutrì uno spiccato amore per il creato, coltivò la medicina, la poesia e la musica. Soprattutto conservò sempre un grande e fedele amore per Cristo e per la sua Chiesa».

Vale la pena di ricordare qui l’udienza del 20 dicembre 2010 alla Curia Romana – una delle udienze per gli auguri natalizi cui Benedetto XVI ha dato particolare importanza, pronunciando ogni anno un discorso riassuntivo dei temi centrali del suo Magistero nei dodici mesi precedenti – dove, dopo un anno dedicato a fronteggiare la crisi dei preti pedofili, il Papa citò la santa proclamata oggi Dottore della Chiesa. Il brano non è breve, ma è utile citarlo tutto. «In questo contesto – affermava il Papa il 20 dicembre 2010, con riferimento appunto ai preti pedofili –, mi è venuta in mente una visione di sant’Ildegarda di Bingen [1098-1179] che descrive in modo sconvolgente ciò che abbiamo vissuto in quest’anno. “Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’ E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa. Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’. E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa. Per questo, o essere umano che vedi tutto ciò e che ascolti le parole di lamento, annuncialo ai sacerdoti che sono destinati alla guida e all’istruzione del popolo di Dio e ai quali, come agli apostoli, è stato detto: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura’ (Mc 16,15)” (Lettera a Werner von Kirchheim e alla sua comunità sacerdotale: PL 197, 269ss)».

Così il Papa nel 2010 commentava questa impressionante rivelazione privata: «Nella visione di sant’Ildegarda, il volto della Chiesa è coperto di polvere, ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato – per la colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva».

E il 7 ottobre 2012, dopo avere proclamato Ildegarda Dottore della Chiesa, il Pontefice ha ribadito che per contrasto lo sguardo rivolto allo splendore della santità «ci spinge a guardare con umiltà la fragilità di tanti cristiani, anzi il loro peccato, personale e comunitario, che rappresenta un grande ostacolo all’evangelizzazione, e a riconoscere la forza di Dio che, nella fede, incontra la debolezza umana». Alla fine, questo è il centro della nuova evangelizzazione, dell’Anno della fede, del Sinodo: «non si può parlare della nuova evangelizzazione senza una disposizione sincera di conversione. Lasciarsi riconciliare con Dio e con il prossimo (cfr 2 Cor 5,20) è la via maestra della nuova evangelizzazione».

Tags: Benedetto XVIChiesaildegarda di bingenMatrimoniosinodo
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