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Bellezza? Presenza, solo una Presenza

Bella è bella. E di sentimento delle cose ha una discreta esperienza. Faceva la modella, è diventata giornalista. Scrive in esclusiva. Questo spiega il nom de plume per raccontare di Marco, Carlotta, Emi, Silvia… Bella gente di Meeting

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22/08/2002 - 0:00
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Ventidue anni di Meeting, una storia, un fil rouge che intreccia centinaia di migliaia di fili e di storie in settanta Paesi in tutto il mondo. Tanti sono quelli in cui oggi sono presenti comunità di Comunione e Liberazione. Cl, una bel rassemblement da antico maggio francese. Ma voi preferite chiamarlo “Popolo”. E dunque sia, popolo che cammina quasi cinquant’anni di passi dietro quel primo passo che fece l’allora poco più che ventenne don Luigi Giussani, salendo il primo gradino di un liceo, il classico (in tutti i sensi) Berchet di Milano. Présence seulement de la présence. Ecco di nuovo il Maggio. Una vita per l’Ideale. «Tu sol, pensando, o ideal sei vero». Questo è il poeta Carducci. Ma è soprattutto il dagherrotipo di Giussani, ottant’anni, occhi puntati a «mendicare l’Essere che fa tutte le cose». Occhi che, a ottant’anni, benedicono il popolo del Meeting lanciato nel mondo, come quando benedicevano – a vent’anni, e il Giuss era solo, e il mondo non avrebbe puntato un cent su un pretino di Desio – l’amico Angelo, anche allora era agosto di Meeting, via lettera però, anno 1945: «Caro amico, una benedizione? Ecco, io allargo le braccia e te la mando con tutta la passione del cuore: solo perché serva anch’essa ad ottenerti un unico assillo della vita: l’amicizia di Gesù Cristo – la felicità degli uomini».

Marco e Emi (dalla Corea)
Già, la felicità. Il sogno della giovinezza. Marco (il quarantenne di copertina ndr) aveva dieci anni, il suo amico si chiamava Leonardo, trattato dai coetanei come un ritardato mentale, il suo amico gli fu accanto e lo protesse dai motteggi per dieci anni. Poi Leonardo fu abbastanza grande per difendersi da solo. Marco andò a Viterbo, studiò arte, trovò l’amica e futura moglie Accia, fece altri vent’anni di professore a scuola, illustrò un settimanale di nome Tempi, tornò ai pennelli e al bel tempo con i suoi studenti, finì sulla presente copertina e rivide Emi (la ventiseienne di copertina ndr), la sua alunna di tanti anni prima, nata in un altrove geografico, volata in Italia, adottata, studiosa, diplomata, laureata, sposata e infine, sulle orme del suo prestante prof, insegnante.

Carlotta, Giuliana, Rilke, Allen e Beautiful mind
Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza. Cosa significa bellezza, lo sa Carlotta, 17 anni, che scrive a un amico «Io posso raccontare cos’è il bello perché so esattamente cos’è il brutto, avendo vissuto anni nel “silenzio” del cuore, non potendo comunicare i miei sentimenti a nessuno e quindi chiusa in un mondo muto». «Tacevo, e si logoravano le mie ossa», dice il versetto di un salmo. Dice di sé Carlotta: «Sono una ragazza bella ed intelligente, con gravi problemi sensoriali, ma molto brava a scuola ed orgogliosa della famiglia in cui vive che è sempre il centro e la partenza di una persona». Poi chiama in causa Altro ed è anche un po’ piccata della sciatteria dell’epoca: «Ma Dio ha pietà di chi lo invoca forte e mi ha dato il dono della scrittura e così racconto a tutti cos’è il bello, a tutti coloro che me lo chiedono, perché a molta gente non interessa il bello, perché non interessa il vero, e quindi non interesso io come persona». A Carlotta, Rilke dedicherebbe il verso di una delle sue più belle elegie: «Tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, un po’ forse come si tace una speranza ineffabile». Giuliana, impiegata alla Regione Lombardia, spedisce via e-mail appunti presi a incontri di Scuola di Comunità, fondamentale per capire cos’è Cl, “movimento di educazione alla fede”, dove la catechesi è conversazione sull’esperienza a partire dalla verità cattolica trasmessa per dogma e carisma (riconosciuto dalla Chiesa), dice tutto il titolo dell’ultimo volume di Giussani: Dal temperamento un metodo. Dunque Giuliana scrive nel suo appunto la risposta di un Giorgio a una certa domanda, seguito della visione di un film, seguito di una settimana di vacanza in montagna, duecento adulti, centocinquanta bambini, segno che l’ottimismo, in Cl, non è un’opinione: «L’essere amato è l’esigenza di significato che l’uomo non ha dentro di sé, che l’uomo non sa darsi. Qualcuno fuori di sé compie il suo desiderio infinito. Nel film Beatiful Mind è la presenza della moglie che lo porta fuori dalla sua malattia, che rende compatibile la sua malattia con la vita. L’uomo ha una domanda a cui non può rispondere. Non cambia perché vuole, ma cambia perché appartiene ad un evento che ha incontrato. Cambia per un amore. La dipendenza senza amore non ha senso. Affezione è stupore della bellezza. Mi fa paura la sostituzione di questo con delle regole. Siamo a livello di Woody Allen o Ingmar Bergman che hanno ucciso l’esperienza affettiva del rapporto. Hanno ucciso il desiderio dell’altro, lo stupore dell’altro, il sacrificio per l’altro».

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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Allevare pavoni
«Bisogna dirlo e ripeterlo, non è un bisogno di novità quello che tormenta gli spiriti, è un bisogno di verità, ed esso è immenso». Devo ammetterlo, il vecchio Victor Hugo ha ragione. Ecco perché Flannery O’ Connor, oltre a scrivere libri crudeli, sinceri e bellissimi nell’America degli anni ’50, allevava pavoni. Cosa significhi davvero il pavone l’ho capito guardando uno spot pubblicitario in Tv (di un’automobile, marca francese). Una bellezza improvvisa, imprevedibile, esagerata, che si allarga all’improvviso sotto gli occhi. Stupidi pennuti starnazzanti che svelavano di colpo un ventaglio di piume cangianti e lucide, una bellezza gloriosa, eccessiva, imprevedibile, viva e presente. Qualcosa di sorprendente e familiare, che vuoi avere il più possibile a portata di mano, che vuoi vedere tutti i giorni; dev’essere andata così anche a Milledgville.

Passeggiare a Firenze
La bellezza è stata per molti anni una spina incomprensibile, una ferita aperta, una dismisura evidente, per me che sarei nata pour hasard in un altrove della Gallia, e sono in realtà di Florence, Firenze, e che per 25 anni della mia vita sono stata letteralmente assediata da opere d’arte di ogni genere. Ma anche costretta a vivere (come tutti) dentro una bruttezza ugualmente tenace, invasiva e capillare, capace di spegnere qualsiasi desiderio concreto di costruire, qualsiasi slancio verso il vero. Ogni ritorno a casa (prima il liceo, poi l’università, sempre in centro) per me significava passare, nel breve tragitto in autobus, da Piazza S. Marco (i colori luminosi del Beato angelico, gli scorci che si aprono sul campanile di Giotto, il Battistero semplice, geometrico e bellissimo in marmo bianco e verde) a Scandicci, ex quartiere dormitorio, grigiastro e anonimo come tutte le periferie che assediano tutte (o quasi tutte) le città italiane. Poi ho compreso che la realtà è ostinata, e chiede risposta.

Stare dove sta il bello
Silvia, giornalista di Libero, ciellina anch’essa, e di punta, ha un debole per l’estetica barocca: «E mai sono riuscita a liberarmi una volta per tutte da quella bellezza pungente, acuta e fastidiosa, eccessiva e martellante come le arrampicature del violino, come gli acuti tramortiti sfiniti e trionfanti delle opere barocche, che dicono in sostanza: la luce esiste, e ci arriva pure, che sia lontanissima non importa, ci arriva e prende una forma precisa». E che non siano parole in libertà quelle di Silvia lo posso testimoniare io stessa: tutto questo ha un indirizzo preciso (Firenze, piazza Santissima Annunziata, il massimo è andarci di domenica sera, per la messa delle 21, quando il buio fuori fa risaltare la luce morbida del soffitto e le dorature del legno). C’è ancora Carlotta che vuol dire qualcosa: «Solo l’attrattiva a qualcosa di bello potrà sconfiggere il vuoto ed io posso farti un lungo elenco di persone e gesti che hanno sconfitto il vuoto del mio mondo. Posso ad esempio parlarti di don Berna, parroco a Santa Giulia, che ha portato sulle sue spalle mia madre indomita. Ancora ti racconto della bellezza del mare che mi sta di fronte e che mi affascina in ogni stagione dell’anno o la bellezza delle montagne del Trentino, che aspetto di rivedere ogni estate, o lo sguardo degli amici veramente affezionati a me e che desiderano il mio bene; e potrei andare avanti per ore… Ma i ragazzi devono avere momenti dove vedere il bello per sapere dove cercare il vero e il Meeting di Rimini è uno di questi luoghi ed io spero tanto di vedere il bello che piace a Gigi, per riconoscere il vero nel mondo che ci circonda, così brutto e stupido, voluto così dal male che esiste ed opera sotto il nostro naso».

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