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La beffa dell’assegno unico

Era facile prevedere il fallimento di una misura elogiata "a prescindere". Meno facile immaginare che 630 milioni di euro destinati alle famiglie prendessero altre destinazioni

Francesco Farri
11/08/2022 - 6:15
Società
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L'intervento di Mario Draghi sull'assegno unico alla conferenza sulla Famiglia, il 3 dicembre scorso
L’intervento di Mario Draghi sull’assegno unico alla conferenza sulla Famiglia, il 3 dicembre scorso (foto Ansa)

Tratto dal Centro Studi Livatino – Era stato facile prevedere, norme e dati alla mano, il fallimento dell’assegno unico. Meno facile era immaginare, come sta avvenendo col c.d. decreto aiuti bis, che le somme non spese a causa delle complicazioni sostanziali e procedurali prendessero altre destinazioni. Con buona pace di certo associazionismo familiare, tanto propenso – a suo tempo – a elogiare quella misura “a prescindere”, quanto oggi ingenuamente sorpreso e deluso.

1. Sono bastati pochi mesi per far venire al pettine i nodi dell’assegno universale familiare. Nella festante accoglienza con cui fu salutata la relativa approvazione, tra le rare voci motivatamente critiche si sollevò quella del nostro Centro Studi, il quale evidenziò che, per come era congegnato, sia sul piano procedurale che sul piano sostanziale, l’assegno unico era destinato a non raggiungere gli obiettivi di politica familiare che gli venivano attribuiti.

Si evidenziò che, per funzionare, una misura a sostegno della famiglia doveva avere, non soltanto importi più significativi in valore assoluto, ma anche formule di calcolo meno penalizzanti per le famiglie numerose e meccanismi di assegnazione automatizzati anziché collegati a farraginose domande degli interessati. Si sottolineò l’opportunità di lasciare alle famiglie l’opzione di rinunciare al sistema dell’assegno unico per continuare a utilizzare le detrazioni dall’Irpef per figli a carico, nei numerosi casi in cui l’assegno risultava addirittura inferiore a quanto sarebbe spettato secondo il sistema precedentemente previsto.

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I dati hanno confermato le nostre previsioni. Da marzo, data di entrata a regime dell’assegno, una buona parte delle famiglie aventi diritto non ha trovato la possibilità di formalizzare la domanda; una altrettanto buona parte è riuscita a farlo solo a condizione di accettare l’importo minimo – che, come si disse, consente l’acquisto di appena due pannolini al giorno -, pur di non imbarcarsi nelle pastoie, come il calcolo dell’Isee, necessarie per ambire a importi maggiori. Se a ciò si aggiunge che la scadenza per richiedere gli arretrati da marzo è stata fissata al 30 giugno, ossia a tempo di record e in deroga a ogni termine prescrizionale o decadenziale per l’esercizio del diritto di credito, i presupposti del flop vi erano tutti: l’assegno ha aiutato molte meno famiglie del previsto.

2. In questo quadro, la macchina della finanza pubblica non ha perso tempo a ratificare la falsa partenza dell’assegno. Considerato che le somme in concreto richieste ed erogate erano inferiori agli stanziamenti previsti, ha pensato bene di ridurre a regime tali stanziamenti, per utilizzare ad altri fini il risparmio di spesa così generatosi. Così, con un articolo, il cui contenuto è stato anticipato da qualche testata di settore, contenuto nel c.d. decreto aiuti bis, il fondo per il finanziamento dell’assegno universale (art. 1 co. 339 legge n. 160/2019) è stato ridotto di ben 630 milioni di euro.

Alla luce di quest’ultimo sviluppo, è malizioso ipotizzare che il macchinoso congegno originariamente previsto per il calcolo e l’assegnazione dell’assegno fosse stato non soltanto frutto di miope burocratismo, bensì di acuta premeditazione? Accade di frequente che una fetta degli aventi diritto non riesca a richiedere in tempo ciò che spetta, specialmente se la richiesta è complessa, come quella che implica l’ottenimento del famigerato Isee. Sicché se il risparmio di spesa iniziale collegato al ridotto numero di domande, anziché essere “reinvestito” per la stessa politica familiare, per esempio aumentando l’importo degli assegni erogati o degli importi minimi, unanimemente riconosciuti come troppo bassi per le esigenze effettive delle famiglie italiane, è stato prontamente stornato dalla destinazione originaria, appare corroborata la tesi che si sia di fronte a una misura che con una mano mostra di offrire, e con l’altra in concreto toglie.

Il blitz di riduzione dello stanziamento potrebbe naturalmente essere corretto in sede di conversione del decreto legge: appare peraltro dubbia la legittimità dell’inserimento di un intervento del genere in un decreto legge, alla luce dei requisiti richiesti dall’art. 77 Cost., considerando che tale decreto è stato emanato da un governo dimissionario e incaricato della sola gestione degli affari correnti a Camere sciolte. In altri termini: se lo storno ad altre destinazioni dei 630 milioni di euro destinati alle famiglie rientra nella voce “affari correnti”, ben può il Parlamento rimediare, restituendo la destinazione originaria, con minori vincoli, in modo da permettere la fruizione di quel “tesoretto” a un discreto numero di nuclei familiari; se invece in quella voce non rientra è illegittimo alla radice l’intervento del decreto.

3. Di là da ciò, tuttavia, dal problematico debutto dell’assegno unico può trarsi una serie di indicazioni di sistema.

In primo luogo, occorre riflettere sull’acritico coro di approvazione con cui l’assegno unico fu a suo tempo salutato, non soltanto dalle autorità che lo hanno congegnato, ma anche da quei settori dell’associazionismo sociale ed ecclesiale la cui ragion d’essere è la promozione della famiglia. Non sempre ciò che proviene dai c.d. tecnici o si presenta come progressista è la soluzione ottimale: ogni misura va valutata nel merito, senza pregiudizi, né in senso contrario ma neppure in senso favorevole, come è invece accaduto. Appare ingenuo protestare oggi dopo avere a suo tempo esaltato l’assegno unico, nonostante il bluff fosse da subito evidente.

In secondo luogo, dovrebbe prendersi atto una volta per tutte che la semplicità sostanziale e procedurale è un requisito indispensabile per la riuscita di una seria politica di finanza pubblica: il che vale anche per le politiche di sostegno alla famiglia. Così, sul piano sostanziale l’assegno va sganciato dall’Isee, strumento che peraltro, come si è in più occasioni osservato, richiede in sé di essere profondamente rivisitato. Sul piano procedurale, non dovrebbe esser difficile per una macchina amministrativa che immagazzina nelle proprie banche dati informatiche ormai pressoché tutti i dati rilevanti della popolazione prevedere una quantificazione ed erogazione automatizzate, salve ovviamente le rettifiche e precisazioni da parte degli interessati. L’auspicio è che il prossimo Parlamento e il prossimo Governo ridisegnino gli strumenti di sostegno alla famiglia, rendendoli maggiormente funzionali al raggiungimento dell’obiettivo che si pongono.

Infine, il blitz di riduzione degli stanziamenti per l’assegno unico in conseguenza della sua rallentata partenza richiede una riflessione di ordine più generale in merito ai criteri di gestione della finanza pubblica. Le impellenze di gestione del debito pubblico sembrano aver fatto perdere la capacità di discernere le problematiche di gestione della spesa corrente di breve periodo rispetto agli investimenti sociali di lungo termine; sembrano aver fatto perdere, in altre parole, la giusta prospettiva di programmazione della spesa pubblica. E questo non rappresenta epilogo coerente per il “Governo dei migliori”.

Tags: assegno unicoFamiglia
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