
Bacon, l’urlo, la tradizione
Se siete malinconici per la triste condizione in cui versa l’arte in Italia (vedi box). Se avete nostalgia di quelle poche, grandi mostre che si fanno ancora nel mondo. Se avete voglia di rifarvi un po’ gli occhi, visitate la Fondazione Beyeler di Basilea, senz’ombra di dubbio la miglior struttura privata d’Europa dedicata all’arte moderna e contemporanea.
Ci siamo andati per la mostra del pittore irlandese (d’origini inglesi) Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), un’esposizione che sicuramente sarà ricordata come epocale. Prima di accedere alla mostra, abbiamo però visitato la collezione permanente, da apoteosi: Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Vincent van Gogh, Georges Seurat, Henri Rousseau, Auguste Rodin, Henri Matisse, Pablo Picasso, Georges Braque, Piet Mondrian, Fernand Léger, Wassily Kandinsky, Costantin Brancusi, Paul Klee, Jacques Lipchitz, Joan Mirò, Max Ernst, Alberto Giacometti, Francis Bacon, Jean Dubuffet, Antoni Tàpies, Jackson Pollock, Mark Rothko, Barnett Newman, Mark Tobey, Sam Francis, Robert Rauschemberg, Frank Stella, Ellsworth Kelly, Alexander Calder, Eduardo Chillida, Luciano Fabro, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Georg Baselitz, Gerhard Richter, Anselm Kiefer. Che opere!
Non c’è arte senza tradizione
La mostra “Francis Bacon and the Tradition of Art” (alla Fondation Beyeler di Basilea, fino al 20 giugno 2004) si basa su un’idea molto semplice: non è vero che i grandi artisti che rivoluzionano il nostro modo di vedere le cose siano avulsi da ogni storia e spuntino improvvisamente come funghi con il loro operato a sollecitare con strappi laceranti l’evoluzione del modo di vedere umano. Essi sono inseriti in una tradizione e osservano con occhio critico e appassionato una serie di intuizioni e idee fatte opera, provenienti dal passato. Nello studio di Bacon c’erano libri su Michelangelo, Diego de Silva y Velázquez, Rembrandt van Rijn, Jean-Auguste-Dominique Ingres, van Gogh, Cézanne, Edgar Degas, Edvard Munch, Picasso, Egon Schiele, Chaim Soutine, Giacometti, scultura greca e arte egizia. L’esposizione presenta per la prima volta questi volumi, insieme alle fotografie, alle immagini parzialmente strappate, ai ritagli di giornale e agli annunci pubblicitari che facevano parte del materiale documentario da cui traeva l’ispirazione per i suoi dipinti. L’attenta osservazione di queste immagini, modificate e distorte da Bacon, permette di intuire il suo processo creativo. Egli le manipolava sfregiandole e sovradipingendole. Bacon si rivolse dunque alla tradizione, dice questa mostra suddivisa in sedici sezioni tematiche, la prima delle quali è dedicata ai ritratti papali e presenta due capolavori indiscussi dell’arte occidentale: il “Ritratto del Papa Paolo III Farnese” (1546) di Tiziano Vecellio e aiuti, e il “Ritratto del Papa Clemente VII” (1531-32 circa) di Sebastiano del Piombo e bottega (peccato che manchi il “Ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez” – sostituito da una mediocre copia del XVII secolo –, che fu al centro dell’interesse di Francis Bacon per molti anni, suggestionandolo enormemente per l’introspezione psicologica compiuta dal pittore spagnolo sul personaggio e perché egli, non cattolico per ribellione e ateo dichiarato per scelta, vedeva nel papa soltanto l’incarnazione dell’esercizio maschile del potere). Tra i dipinti di Bacon si segnalano “Studio dal ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez” (1951), “Studio per ritratto V” (1953) e “Studio per ritratto VII” (1953) con drammatiche figure di papi dai mantelli porpurei o violacei, digrignanti i denti o urlanti, immersi in un ambiente completamente buio.
Il velo, la gabbia e il ritratto
La seconda sezione è dedicata al velo come motivo d’isolamento della figura umana. Essa presenta il “Ritratto del cardinale Filippo Archinto” di Tiziano (1551-62 circa) dove due terzi del volto e del corpo del soggetto sono nascosti da una sottile tendina trasparente. Il celebre “Studio dal Papa Innocenzo X di Velázquez” (1953), forse la sua immagine più famosa, con un papa urlante in mezzo a un vortice di striature, dimostra come Bacon adottò quest’idea quale mezzo per isolare, estendere, allungare e alterare la figura umana, con un effetto molto drammatico. Tra le altre opere presenti il pastello di Edgar Degas “La colazione dopo il bagno” (1895-98 circa) che viene ripreso dall’artista in uno “Studio del corpo umano” (1949) con un effetto simile, a individuare il corpo umano dietro una tenda. La sezione dedicata al grido è invece dominata dalla figura di Pablo Picasso, che esercitò un’enorme influenza su Bacon, con i suoi disegni di donne urlanti preparatori per “Guernica”. Ma vi sono anche Egon Schiele, Edvard Munch e sequenze cinematografiche della “Corazzata Potemkin” del regista sovietico Sergej Eisenstein, a dimostrare come ogni immagine che Bacon reputava interessante venisse da lui ripresa e trasformata in dipinti come “Studio per l’infermiera dalla Corazzata Potemkin” (1957).
La sezione dedicata al motivo della gabbia presenta invece le opere dell’artista svizzero Alberto Giacometti – come “Grande nudo seduto” (1957) con una figura quasi graffiata dai tratti dentro a una stanza vuota –, che poneva le sue persone ritratte entro un ristretto spazio tridimensionale. Il motivo della gabbia divenne un espediente compositivo molto importante per Bacon che dipingeva questi spazi protettivi – come in “Studio per ritratto” (1949) – sotto forma di scatole di vetro o teche attorno alle sue figure per caricarle di emotività e aumentare la concentrazione sul loro corpo.
La sezione dedicata al ritratto – genere nel quale Bacon dimostra tutta la sua grandezza e tragicità mediante il colore che prende delle direzioni improvvise con dei vuoti, dei vortici e delle impronte sulla tela come nello splendido “Ritratto di Michel Leiris” (1976) – dimostra come il pittore inglese imparasse dai grandi maestri come Velázquez – “Ritratto del re Filippo IV di Spagna” (1652-53) – o Rembrandt, di cui sono esposti due splendidi autoritratti. Molto interessante anche la sezione dedicata al rapporto tra van Gogh e Bacon. Del maestro olandese è esposta una splendida opera come “Il seminatore” (1888) dal quale Bacon trasse il suo “Studio per ritratto di van Gogh V” (1957), vero e proprio omaggio all’uso del colore del maestro rappresentato con cappello di paglia, cavalletto e scatola di colori in mezzo a una natura imbizzarrita. A ricreare la terra, il cielo e il dramma della persona con l’impasto dei colori che là brillano improvvisi come gemme mentre sul volto diventano come catrame lucido impregnato di rosso sangue.
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