Attento a quel “pagano” di Davila

Di Berlicche
13 Dicembre 2007

Mio caro Malacoda, ho a disposizione tremila battute per spiegarti la pericolosità di Nicolás Gómez Dávila. Non ti affannare a cercarlo, è morto da dieci anni. Ma i guai che non ha fatto in vita li fa adesso con la pubblicazione dei suoi aforismi. La seconda raccolta si intitola Tra poche parole (Adelphi). Poche, ma dannatamente pensate. Il Nostro si è occupato di molte cose, politica, filosofia, democrazia, letteratura. Qui ci interessa per le sue frequentazioni con il cristianesimo. Non so se sia stato quello che si dice un buon cristiano, lui si definisce «un pagano che crede in Cristo». E questo ci deve preoccupare doppiamente, perché l’alleanza tra pagani e cristiani è stata storicamente la più pericolosa per noi e la più fruttuosa per il Nemico, che è stato capace di salvare tutta la ricchezza di ragione e passione del paganesimo sul quale ingenuamente noi avevamo puntato. Infatti, dice Gómez, «lo spirito non è una fortuna che si guadagna ma uno patrimonio che si eredita», perché «la verità è nella storia, ma la storia non è la verità»; in altre parole: «Nulla è spiegabile fuori della storia, ma la storia da sola non spiega nulla». La verità, insomma, ha deciso di viaggiare sulle spalle di testimoni, e si presenta come «una particolare sonorità di certe voci quando certe evidenze le commuovono». Dato che «nulla di ciò che è importante è dimostrabile. Può soltanto essere mostrato», Dio preferisce rivelarsi non «con discorsi, ma per mezzo di esperienze. L’autore sacro non trasmette un discorso divino (non è Maometto, per capirci, ndr), le sue parole esprimono un’esperienza che gli è stata concessa», così che «il profeta biblico non è augure del futuro, ma testimone di Dio nella storia». Non credere, però, di trovarti davanti a un chierico impaurito, uno che si rifugia nelle definizioni dogmatiche per non lottare, a Gómez piace coltivare il dubbio («il credente sa come si dubita, il miscredente non sa come si crede. e immagina che la religione voglia dare soluzioni, mentre promette solo di moltiplicare enigmi»), perché «il dubbio non vince le convinzioni profonde, ma le arricchisce». Nello stesso tempo il credente sa che «ogni attività nobile è un appostamento in attesa di un miracolo», perché «solo lo stupido sa esattamente perché crede o perché dubita». «Ai fanatici della giustizia l’universo sembra un debitore moroso, agli adoratori della grazia un creditore sublime. I primi pensano che tutto sia loro dovuto, i secondi sanno che devono tutto», ma nello stesso tempo «sperano con intelligenza» sapendo che «finché non avrà tutto, l’uomo non ha nulla, perché di ogni possesso avvertiamo solo i limiti». Ti sembra un intellettuale astratto? Leggi questa: «Più che pratica di un’etica, o adesione a una dottrina, il cristianesimo è lealtà a una persona». Ignari di ciò, «i nuovi catechisti insegnano che il Progresso è la moderna incarnazione della speranza». Invece «il Progresso non è una speranza nascente, bensì il bieco agonizzare di una speranza dissoltasi». Gómez ha talmente capito la mistificazione che il pensiero moderno fa del desiderio umano, lo stravolgimento di quel “conosci te stesso” che invita a uscire da sé per ritrovarsi, che sentenzia: «Nessuno che conosca se stesso si può assolvere. mentre essere moderno è dichiararsi con enfasi innocente e negarsi al perdono». C’è cascata anche la chiesa, che «un tempo assolveva i peccatori, oggi ha deciso di assolvere i peccati». Chi cita un autore, dice il Nostro, «dimostra di non essere stato capace di assimilarlo». Speriamo sia così per chi lo leggerà, non vorrei fosse il suo unico aforisma sbagliato. Ciao.
Tuo affezionatissimo zio    Berlicche

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