
Arrivederci Roma
Tre mesi di tempo, ovvero quanto necessario alla presentazione al parlamento della legge finanziaria. Questo il lasso di tempo che la Regione Lombardia ha offerto al governo per venire incontro alle sue necessità infrastrutturali. Altrimenti sarà guerra, a colpi di leggi regionali e conflitti di attribuzione per ottenere quanto non si può più attendere. Ovvero un polo autostradale del Nord che veda uniti i gestori del Settentrione per contrastare lo strapotere di Autostrade per l’Italia e l’ottenimento del potere di concessione per la Regione, bypassando l’Anas e scongiurando gli effetti nefasti della fusione con gli spagnoli di Abertis. E, infine, un impegno per la crescita di qualche piccola compagnia aerea che raggruppi attorno a sé i capitali dell’imprenditoria del Nord al fine di contrastare la deriva romanocentrica di Alitalia, oppure, in alternativa, accordi con alcune compagnie internazionali (asiatiche ma anche statunitensi) interessate ad avere una base a Malpensa. Insomma, una nuova stagione di decisionismo e attivismo che, nella peggiore ma non più peregrina delle ipotesi, potrebbe portare il Pirellone, senza colpo ferire e senza patetici richiami a strampalate mitologie celtiche, a dire addio a Roma e ai mille lacciuoli che il governo centrale del paese pone sulla strada dello sviluppo e della crescita della regione.
Due, come anticipato, le priorità sulle quali, in base alle indiscrezioni dei soliti bene informati, il governo lombardo starebbe concentrandosi: le infrastrutture autostradali e quelle aeroportuali. La decisione regionale di agire in parallelo, ovvero trattare con il governo ma contemporaneamente cercare alternative all’intervento statale, si deve a due fattori: la nomina ad assessore per le Infrastrutture di Raffaele Cattaneo e l’impasse venutasi a creare nel corso dell’estate dopo i primi incontri ufficiali con i rappresentanti dell’esecutivo sul tema delle priorità lombarde.
Il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, come sua abitudine, non ha usato eufemismi per rispondere alle ormai inderogabili richieste della Lombardia in tema di infrastrutture: «Non ci sono soldi». Altrettanto schietta la replica dei rappresentanti del governo regionale lombardo: «Qualcosa, comunque sia, Roma deve darci». Nella fattispecie, un miliardo di euro. Dopo di che, il primo strappo: la richiesta di inserire nella Finanziaria (attraverso una modifica, visto che quanto richiesto non appariva nella prima bozza) un articolo che preveda la possibilità per lo Stato di concedere il potere di concessione alle Regioni. Oggi, infatti, questo viene esercitato unicamente dallo Stato attraverso l’Anas: basterebbe inserire un unico articolo e poi dar vita ad accordi bilaterali tra Stato e Regioni che ne facciano richiesta perché l’impasse venga sciolto.
Tre le ragioni che hanno spinto la Lombardia ad avanzare questa proposta: con una gestione diretta la Regione riuscirebbe a far risparmiare sui costi dell’opera, a farla terminare più in fretta e a garantire che la realizzazione di quest’ultima costi meno al contribuente. Avventurismo? Al Pirellone negano e rispondono citando i precedenti della Cremona-Mantova e della Broni-Mortara. Nel primo caso, i cantieri stanno ormai partendo, è costata un terzo rispetto a opere di livello nazionale e il finanziamento pubblico, su un totale di un miliardo di euro, è stato di soli 100 milioni. Come è possibile? Utilizzando meglio, ad esempio, le aree di servizio connesse all’autostrada per aumentare i ricavi netti.
Qualche numero può chiarire meglio il quadro di cui stiamo parlando. Il totale delle opere pubbliche necessarie in Lombardia (ovvero la Brebemi, la Pedemontana, la Tangeziale Est esterna e la quarta corsia della A4, quasi ultimata) è di circa 8 miliardi di euro. Bene, in Regione hanno fatto le cose come si deve, utilizzando alcuni moltiplicatori per calcolare il valore economico delle ore di coda evitate sia ai mezzi pesanti che ad altri veicoli nel caso queste opere venissero realmente realizzate (vedi il grafico a sinistra). Il conto finale fa rabbrividire: lo scenario ipotizzato, ovvero comprensivo delle quattro infrastrutture realizzate, garantirebbe flussi annuali di beneficio sul sistema economico del Nord-Ovest pari a circa 22 miliardi di euro, ovvero l’8,4 del Pil della Lombardia.
Ma la questione lombarda è strettamente connessa a quella del resto del Nord Italia, ovvero di opere altrettanto importanti come il Grande Raccordo Anulare di Padova, la Pedemontana veneta, la Venezia-Cesena-Orte-Roma o il Sistema di tangenziali lombardo-venete: un totale di 19 miliardi di euro necessari per dare vita e compimento a queste infrastrutture a fronte di uno zero o poco più offerto a livello finanziario dal governo. Il quale sembra intenzionato a proseguire una politica che ignori le necessità del Nord, quasi quest’ultimo fosse affetto da un’egoistica miopia nei confronti delle aree più disagiate e meritevoli di attenzione del paese. Anche in questo caso, però, a Roma qualcuno si sbaglia di grosso. Cifre alla mano.
A chi giova il sistema così com’è
Nonostante prosegua la retorica riguardo il Ponte sullo Stretto o l’odissea senza fine della Salerno-Reggio Calabria, i dati vedono la Lombardia gravemente svantaggiata (a livello infrastrutturale) nel confronto non solo con gli altri grandi paesi europei, ma con lo stesso “paese Italia”. Per constatarlo basta confrontare il rapporto tra chilometri di autostrade e milioni di abitanti nei diversi territori (vedi il grafico a destra). Che fare, quindi, di fronte al pressoché scontato niet di Roma? In Regione hanno le idee chiare: tenere aperto un canale di dialogo e pressione, ma anche attrezzarsi con un’alternativa. Il cui nome sarebbe quello di Polo autostradale del Nord, un cartello che unisca le concessionarie di autostrade del Settentrione da contrapporre allo strapotere di Autostrade per l’Italia che da anni sta portando avanti «una politica basata sul prenderci in giro», si vocifera dalle parti del Pirellone. In tal senso basti citare il rallentamento dei lavori della Brebemi a favore della costruzione della quarta corsia della Milano-Venezia, una scelta non tanto strategica quanto dettata dall’assetto istituzionale dei soggetti operanti: nel primo caso Autostrade per l’Italia è azionista di riferimento, nel secondo agisce come soggetto unico. Ovvero, incassando tutto direttamente.
Ci mancava solo la Spagna
Perché quindi non riunire Milano Serravalle, Satap (Autostrada Torino-Milano e Torino-Piacenza), Autostrada Serenissima, Centro Padane, Autostrade del Brennero e Ativa (Autostrada Torino-Ivrea-Valle d’Aosta) in un unico polo che possa far valere prestigio e chilometri di rete gestita per spezzare il monopolio di Aspi (che da sola controlla 3.408 chilometri di rete contro i 788,5 di Satap, Serenissima e Brennero insieme) e aprire finalmente al mercato e alla concorrenza? In tal senso, poi, preoccupa molto la fusione di Autostrade con gli spagnoli di Abertis, questione all’ordine del giorno del ministro Di Pietro, che da subito ne ha evidenziato criticità e punti oscuri. Il ragionamento che si fa in Regione Lombardia è semplice: se, dopo aver speso i soldi dei lombardi per infrastrutture ovunque nel paese tranne che in Lombardia, ora questi soldi rischiano di servire al compimento di opere autostradali anche in Spagna, per la Regione il futuro equivale a un buco nero. Ecco quindi il piano alternativo del Polo del Nord e la prima richiesta, formalizzata nel corso di una riunione operativa di Regione Lombardia con tutte le concessionarie del Settentrione nel mese di agosto: chiedere al governo che le tratte lombarde di Autostrade per l’Italia vengano cedute ad altri soggetti che non siano spagnoli. Risposte? Per ora nessuna, ma il lavoro parallelo prosegue a ritmi serrati.
E nessuna risposta, fino ad ora, è giunta nemmeno all’interpellanza con procedimento abbreviato presentata il 31 maggio dall’allora senatore Roberto Formigoni e firmata da quasi tutti i senatori eletti nei collegi del Nord Italia per chiedere al ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi e al governo lumi sul futuro di Malpensa in relazione alle voci che vorrebbero Fiumicino come volano del rilancio di Alitalia. Una follia economica, quest’ultima, sostanziata da tre semplici dati: il 73 per cento dei biglietti viene venduto al Nord, l’incremento dei passeggeri di Malpensa nel periodo tra il 1997 e il 2005 è stato del 402,6 per cento contro il 26,6 di Fiumicino, mentre su 20 mila dipendenti di Alitalia 19 mila risiedono nel Lazio. Buon senso e liberismo vorrebbero che il salvataggio di Alitalia ripartisse unicamente dalla “volontà” del mercato e non da meri calcoli elettoralistici o occupazionali. Ma non sembra essere questa la strada imboccata dal governo.
Pronti a prendere il volo
Anche in questo caso, perciò, la Regione Lombardia ha posto il suo aut aut: «O Roma decide, e in fretta, come uscire dalla crisi, oppure il costo pubblico per il fallimento di Alitalia è destinato a crescere a dismisura». Di più, se Alitalia punta su Fiumicino, rinvia soltanto nel tempo il suo collasso, se invece basa le proprie speranze di risanamento sugli indicatori di mercato e punta su Malpensa, qualche privato potrebbe credere al progetto e impegnarsi, visto che il pubblico ha già ammesso di non disporre dei soldi necessari. Anche in questo caso, però, così come per le autostrade, la Lombardia ha già posto le basi per due alternative concrete: sono stati presi contatti («stiamo sondando», è il termine che filtra dai corridoi del Pirellone) per dare vita a un piano industriale che si concretizzi con la crescita di qualche piccola compagnia che raggruppi attorno a sé i capitali dell’imprenditoria del Nord e nel contempo sono state avviate trattative informali con compagnie internazionali asiatiche e statunitensi interessate ad avere una base a Malpensa, cosa che Alitalia avrebbe dovuto fare in base al piano di risanamento di Giancarlo Cimoli. Il quale, per eccesso di realismo e per il reato di “lesa romanità”, ora sta rischiando il posto. Siamo alle soglie della nascita della Northern Airlines o della Lombardair? È presto per dirlo, però è certo che in Regione stanno “sondando”: il piano “Arrivederci Roma” non è più soltanto sulla carta.
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