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L’Armenia va difesa proprio come l’Ucraina

Aliyev è un dittatore e non è possibile ignorare i suoi crimini contro gli armeni solo perché rifornisce di gas l'Europa

Grigor Ghazaryan
08/03/2023 - 5:40
Esteri
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Commemorazione del genocidio degli armeni

Nell’84° giorno del blocco criminale del corridoio di Lachin (Berdzor) – a dispetto della sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite di non ostacolare la libera circolazione di merci, persone e trasporti attraverso il corridoio – la dittatura di Baku ha realizzato l’ennesimo atto terroristico contro gli armeni dell’Artsakh. La mattina del 5 marzo un gruppo di militari azeri è penetrato nel territorio controllato dalle forze di pace russe e ha sparato contro un’auto della polizia locale nei pressi del villaggio di Ghaibalishen, non troppo lontano da Stepanakert, togliendo la vita al tenente colonnello Armen Babayan, al maggiore David Danielyan e al tenente Ararat Gasparyan.

La propaganda dell’Azerbaigian

Da giorni le truppe azere continuavano a sparare nella direzione delle postazioni armene e anche contro le camere di sorveglianza per danneggiare ogni sistema di sicurezza e per impedire la videoregistrazione dei loro atti criminali. Tra l’altro, come preludio a ogni tipo di incursione militare, la macchina di propaganda dell’Azerbaigian in modo proattivo si era impegnata a preparare testi per accusare la parte armena.

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Così, giustificando queste ultime uccisioni, la macchina di propaganda azera ha spacciato per verità le fake news su un presumibile “trasporto di armi”, smentite subito con la pubblicazione da parte delle autorità dell’Artsakh di una serie di filmati, i quali hanno rivelato tra l’altro che i soldati azeri, entrati nel territorio degli armeni, avevano teso loro un’imboscata.

Sradicare gli armeni dalla loro terra

Da oltre 84 giorni le autorità di Baku continuano a orchestrare – mediante gruppi di persone accompagnate da convogli, soldati e agenti speciali – una manifestazione etichettata come “ambientalista” sulla strada di Lachin, l’unico collegamento tra Artsakh e Armenia, dopo la pulizia etnica degli insediamenti armeni di Berdzòr, Aghavnò e Sus.

L’Azerbaigian, sempre agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sui diritti umani e sulle libertà di espressione e della stampa, sta sfruttando le manifestazioni, come ogni altro tipo di espressione democratica – un fatto notato anche da diversi giornalisti azeri. Naturalmente sarebbe vietato esprimersi, per esempio, sull’inquinamento del Caspio causato dal massiccio sfruttamento delle miniere petrolifere. Va aggiunto che il piano – rivelatosi nella dichiarazione del presidente azero: «[Gli armeni dell’Artsakh] possono andare via, la strada è aperta» – manifesta l’intenzione di sradicare la popolazione armena dell’Artsakh e corrisponde perfettamente a quanto definito dall’articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948): un palese atto di genocidio.

Se Baku è un “partner affidabile”

Comunque, più preoccupante è il fatto che simili dichiarazioni si inquadrino nella logica del demagogismo russo-turco, alla base di ogni politica anti-armena: «Non siamo noi a bloccare la strada» dichiarano all’unisono sia i russi chiamati “forze di pace”, sia gli aggressori azeri, giocando con l’Armenia e con gli spettatori occidentali. Nel frattempo, per aggravare la situazione, la parte azera danneggia sistematicamente le infrastrutture di gas e di elettricità della piccola repubblica autoproclamata, dove 120 mila persone restano intrappolate e dove sono privati del diritto allo studio oltre 6.000 alunni degli enti pre-scolari, 19.000 studenti delle scuole medie e 6.800 studenti universitari.

È questo che accade quando i dittatori si guadagnano l’alloro di santi fornitori di gas: “partner affidabili” dell’Europa e, allo stesso tempo, artefici e negazionisti di un genocidio infinito degli armeni.

L’Armenia invia aiuti alla Turchia terremotata

Dopo il terremoto devastante avvenuto il mese scorso in Turchia meridionale, l’Armenia è stata tra i primi paesi a mandare una squadra professionale di soccorso e centinaia di tonnellate di assistenza umanitaria a uno Stato fondato, tra l’altro, sui cadaveri di armeni, curdi e greci del Ponto; a quella Turchia di un fiero dittatore, erede di un enorme patrimonio economico, finanziario e culturale strappato agli armeni durante il genocidio del 1915-23. Sempre in linea con i valori universali, gli armeni hanno mandato assistenza alla Turchia, alla quale nel 1928, nel nome di Agop Martayan, regalarono perfino l’attuale alfabeto (Turk alfabesi), aiutando il popolo turco a stabilirsi anche culturalmente come una nazione.

Oggi, avvalendosi del doppiogiochismo dell’Occidente, che si manifesta nella mancanza di appoggio all’Armenia di fronte alla minaccia esistenziale, la Turchia di Erdogan continua a favorire l’annientamento degli armeni, secondo le mappe dell’espansionismo del “mondo turco” nelle quali Erevan – unica democrazia sudcaucasica – è già cancellata.

L’Armenia è come l’Ucraina

Nella recente conferenza stampa rilasciata assieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Giorgia Meloni ha dichiarato che «la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani», non accetta «un mondo dove la forza può ridisegnare i confini tra gli Stati» e non accetta un mondo dove «chi ritiene di essere militarmente più forte si ritiene, per questo, anche in diritto di invadere il suo vicino».

Resta aperta la domanda: allora perché il mondo tace quando l’Azerbaigian invade l’Armenia a Jermuk, Ishkhanasar, Shorzha e Sotq, uccidendo soldati e civili armeni? Aliyev non sta calpestando il diritto internazionale con la forza? O le sentenze della Corte Internazionale dell’Onu non emanano dal diritto internazionale? Bisogna notare che girandosi dall’altra parte, i doppiogiochisti avvicinano automaticamente anche il trionfo del terrorismo internazionale e di nuove modalità di fare guerre per procura. Non dimentichiamo che la Turchia nel 2020 trasportava mercenari jihadisti dalla Siria in Azerbaigian per «conquistare le terre degli infedeli».

Pure questa è un’invasione di un altro Stato e pure qui c’è un popolo aggredito: il popolo armeno. Un popolo che non aveva in partenza le stesse forze per difendersi ma che a prezzo del proprio sangue protegge la sicurezza dell’Europa. Dunque, è facilissimo ricontestualizzare e attribuire le parole della Meloni anche al caso armeno: la battaglia che l’Armenia combatte, la combatte per ciascuno di noi. Non esistono giustificazioni morali per fare finta di non vedere.

Foto Ansa

Tags: armeniarmeniaazerbaigianUcraina
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