Lavorando si impara
Il rimedio alla fuga dei cervelli è l’apprendistato. Chiedete a Fabio, che progetta schede intelligenti
Come quella di Fabio e del suo apprendistato di alta formazione e ricerca: proseguire il percorso dell’attività iniziata con il periodo di tirocinio e tesi presso l’Istituto di fisica nucleare (Infn), infatti, gli ha permesso di completare la formazione in due contesti differenti: quello aziendale e quello universitario, traendone preziosi insegnamenti.
Dopo aver ottenuto il diploma come perito elettronico all’istituto Itse Mattei di Maglie, Fabio si è laureato in ingegneria elettronica presso l’Università degli Studi di Bologna. Subito dopo, mentre conseguiva l’esame di stato, ha partecipato ad un corso volto all’inserimento in azienda organizzato da Marposs Spa, leader nella fornitura di strumenti di precisione per la misura e il controllo in ambiente di produzione.
UNA SCOPERTA FATTA PER CASO. È qui che è iniziata la sua esperienza e dove adesso lavora, nel reparto di ricerca e sviluppo, come progettista elettronico. Una volta assunto in Marposs e dopo aver superato la selezione per il dottorato, Fabio si è dovuto porre una grossa domanda: «Cosa scelgo?». Alla fine, dopo aver «scoperto casualmente l’apprendistato» si è fatto coraggio e di sua iniziativa ha avanzato una proposta sia in Università che in azienda: «Fortunatamente ho trovato due porte aperte e senza non poche difficoltà ci siamo avviati in questa stupenda esperienza».
L’apprendistato di alta formazione e ricerca è infatti un ottimo modello di transizione dall’università al mondo del lavoro, capace di far accrescere il bagaglio di conoscenze pratiche e teoriche e soprattutto di portare innovazione nei contesti produttivi, ma è ancora troppo poco conosciuto, come testimonia la sua esperienza. «Uno degli aspetti più entusiasmanti», racconta Fabio, «è la possibilità di avvicinare due mondi così distanti che molto spesso parlano la stessa lingua e affrontano problematiche simili anche se con differenti scopi. Da un lato io ho la possibilità di vivere il mondo della pura ricerca e dall’altro quello della ricerca applicato al mondo industriale».
QUANTA BUROCRAZIA… L’unico aspetto negativo che emerge è, ancora una volta, legato alla burocrazia: a quella universitaria si somma tutta la parte riguardante gli adempimenti attuativi della legge regionale: «Un’esperienza del genere richiede un grossissimo contributo da parte del candidato», confida Fabio, «che, oltre a tutti gli sforzi richiesti dalla doppia attività (università e lavoro), deve combattere con infiniti moduli e con regolamenti poco chiari e in continua evoluzione cercando di accordare tutti gli attori protagonisti». Tanto da rendere l’apprendistato poco appetibile non solo agli occhi delle aziende, ma dei ragazzi stessi.
Fabio, però, ha rischiato, si è messo in gioco, intraprendendo un percorso faticoso, e oggi si occupa di progettazione hardware di schede elettroniche “intelligenti” basate su dispositivi come Fpga, microprocessori, microcontrollori e Dsp. Il suo esempio mostra che l’incontro tra lavoro e ricerca porta a risultati di successo. Si tratta d’altronde della possibilità di intraprendere nuove tipologie di dottorato di ricerca orientate alla collaborazione con le imprese: i cosiddetti dottorati industriali.
NON ASPETTATE LO STATO. In tutti i Paesi avanzati il dottorato di ricerca si è aperto da tempo all’impresa. Lo stesso non si può dire dell’Italia che, in confronto, conta ancora pochi casi, nonostante l’ultima indagine Istat riveli che le percentuali sono più alte di quanto si pensi. La scarsa attenzione per questi percorsi formativi paga i ritardi culturali del nostro Paese, come è ben spiegato nello studio Adapt su Dottorati industriali, apprendistato per la ricerca, formazione in ambiente di lavoro. Il caso italiano nel contesto internazionale e comparato.
In ogni caso, raccontare storie di apprendistato, come Tempi e Adapt hanno deciso di fare insieme, serve a far comprendere il valore aggiunto che c’è dietro questi percorsi e i risultati che portano nelle aziende italiane. E condividere queste storie offre un volto nuovo all’apprendistato, edifica una strada che permette ai nostri ragazzi di non scappare all’estero e coltivare il loro talento qui, in Italia. Nella speranza che il Paese sappia presto far esplodere il potenziale innovativo che può rigenerare il nostro mercato del lavoro.
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4 commenti
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andrebbe anche chiarita una cosa: un neolaureato o un laureando non sono “cervelli in fuga”, sono persone che non sanno nulla del mondo del lavoro e che devono innanzitutto inserirsi.
è una mistificazione che si collega al “valore legale” del titolo in questo paese… non basta il titolo per fare il professionista; oltretutto si illudono gli universitari che credono di trovare tutto spalancato e invece trovano tutto chiuso
Angelo il dottorato in alto apprendistato e’ una cosa ben specifica e purtroppo molto rara, rarissima, tipo mosche bianche. Non e’ l’apprendistato-schiavitu’ che dici tu. E’ un dottorato finanziato da una azienda per la quale lavorerai meta’ del tempo e durante i 3 anni di dottorato percepisci un signor stipendio, in piu’ lavorerai per l’aziena un quarto anno. Dopodiche’ con una esperienza senior di 4 anni e un dottorato in tasca fai quel che vuoi, in Italia e all’estero. Auspico anche io che nel nostro ordinamento entri il dottorato “tecnico” o industriale, darebbe una speranza anche al tessuto industriale del paese.
Aggiungo anche che l’apprendistato-schiavitù dura ben 5 anni. fatevi i vostri conti: 5 anni regalati dopo almeno 5 anni di università ripeto ESTREMA VERGOGNA non solo non ci sono figli ma quelli che abbiamo cresciuto a carissimo prezzo vengono cacciati da questo paese da una cricca di malversatori: che siano complici dell’ISIS?
Allora mettiamo le cose in chiaro. L’apprendistato di cui si parla in questo articolo non ha nulla a che fare con quella truffa che si vede nelle aziende come la mia dove un ingegnere a pieni voti è costretto a fare l’apprendista frequentando corsi insulsi sulla gestione della macelleria e sul taglio delle carni giusto perché così facendo non gli si pagano i contributi e gli si può dare 800 euro al mese.
Nulla da eccepire sulla nobilissima professione del macellaio, ma che serve a un ingegnere elettronico?
Per favore almeno qui non prendiamoci per i fondelli, l’apprendistato è una scusa per lo sfruttamento e per sottopagare dei poveri cristi senza insegnargli un accidente anzi facendogli perdere tempo. E il sindacato che fa? …. sindacato? …parola sconosciuta… eppure dovrebbe vigilare sull’apprendistato… ma li avete mai visti?. VERGOGNA