Ancora un sacerdote assassinato in Centrafrica

Di Redazione
02 Luglio 2018
È accaduto venerdì a Bambari: un gruppo di milizie islamiste ha sparato volontariamente a padre Firmin Gbagoua, vicario generale della diocesi, colpendolo all'addome
epa04333244 A French soldier of the military Operation Sangaris stands guard at the St. Joseph Cathedral, the site of an attack by Seleka rebel fighters earlier in the month, during Sunday Mass in Bambari, Central African Republic, 27 July 2014. The attack on the church, where thousands of Christians had taken refuge, left an estimated 17 people dead and many others injured. Violence between the anti-Balaka and Seleka rebel groups continues despite the ceasefire agreement signed in Congo Brazzaville on 24 July. Thousands have been killed in the conflict since 2013 with nearly a million being forced from their homes. Bambari, controlled by the Muslim-majority Seleka, has seen some of the heaviest fighting in the country in the past month and is now considered a fault line dividing the Christian-dominated south from the mostly Muslim-dominated north. EPA/TANYA BINDRA

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Un altro sacerdote è stato ucciso nella martoriata Repubblica Centrafricana. È accaduto venerdì sera, a Bambari, nel centro del paese durante dei combattimenti tra gruppi armati: due milizie (Fprc e Mpc) nate dalla dissoluzione della coalizione islamista Seleka, da una parte, e gli anti-balaka dall’altra.

Le milizie islamiste hanno sparato volontariamente a padre Firmin Gbagoua, vicario generale della diocesi, colpendolo all’addome, vicino all’arcivescovado. I nuovi scontri, che da mesi si protraggono nella zona, sarebbero cominciati quando le milizie ex Seleka hanno distrutto una barricata degli anti-balaka. Negli attacchi sono state rase al suolo decine di casa in città.

A maggio 16 persone, tra le quali un sacerdote, sono state uccise e un centinaio ferite nella capitale Bangui dopo l’attacco da parte di milizie islamiste della parrocchia di Fatima, durante la Messa. Il sito è stato attaccato a colpi di kalashnikov e lanci di granate.

L’80 per cento del paese è ancora in mano a gruppi armati e il governo ha potere a malapena nella capitale. I soldati dell’Onu non riescono o non vogliono fermare le violenze e disarmare le milizie che si combattono per prendere il potere sul territorio. Il conflitto, cominciato nel 2013 dopo un colpo di Stato da parte della coalizione Seleka, era degenerato in scontro settario ma è ormai diventato solo una lotta per accaparrarsi le ricche risorse minerarie del paese.

Foto Ansa

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