Ancora su vaccini, green pass e il gigantesco nanokiller
Bellissimo, profondo, duro, interessantissimo l’articolo di Rodolfo Casadei (Pro e contro il Green Pass. La libertà ha un prezzo). Un’unica obiezione: è vero che la prima testimonianza è accettare le conseguenze, ma ciò non esclude la protesta.
Se lo Stato afferma ad esempio: “Poiché i raggi della luna risultano cancerogeni, dopo le 20 sarà multato chiunque esca dalla propria abitazione”, abbiamo che il presupposto è falso; oppure non è dimostrato in maniera incontrovertibile. Se io non protesto contro l’abnormità del provvedimento, consento allo Stato di perpetuare indisturbato l’ingiustizia.
Se poi lo Stato dicesse: “gli ebrei sono il male della nazione, chiunque li nasconda sarà messo a morte”, la prima testimonianza resta accettare la morte, ma sono chiamato a contrastare tale legge. E in questo caso a farlo anche nelle forme più dure, fino all’attentato dinamitardo contro il regime. Non per affermare un’idea ma per salvare vite.
Vaccinare a forza e indiscriminatamente i bambini quando il loro rischio Covid è zero e comunque maggiore di quello di reazioni avverse da vaccino, o comunque in presenza di un dibattito scientifico aperto, forte ed aspro su questo, è ledere non solo la libertà ma potenzialmente danneggiare gravemente la persona.
Affermare la necessità del green pass sulla base del fatto che i vaccinati siano non più contagiosi, quando sempre più studi di autorevoli scienziati dimostrano altro, è un attacco evidente alla libertà personale.
Tutto ciò per dire che se il presupposto della legge è falso o comunque non sufficientemente dimostrato, i provvedimenti diventano palesemente ingiusti per tutti. In questo caso, oltre alla testimonianza, la protesta/ribellione può diventare quasi un dovere per salvaguardare la propria libertà e il bene comune.
Ma, al di là di tutto, uno sguardo sinottico su tutto questo che consideri l’aspetto sanitario, la gestione politica del fenomeno pandemico e la comunicazione da parte dei media ufficiali, qualunque sia la verità sanitaria sui vaccini, dovrebbe essere più che sufficiente per far drizzare i capelli a chiunque e giustificare la protesta.
Giuseppe Zappasodi via email
Guardi, caro Giuseppe, nemmeno a noi piacciono certi toni definitivi e assertivi di chi ha scambiato il vaccino per un’infusione dello spirito santo (gli “splendidi” alla Burioni, per intenderci) né ci convincono le campagne quasi terroristiche con cui, soprattutto su certi giornali mainstream, vengono trattate le persone che, anche con toni pacati e argomenti razionali, avanzano dubbi su vaccini e green pass.
Insomma, non facciamo parte della schiera – sempre molto numerosa – di quelli sempre pronti a individuare un “colpevole” per la propagazione del virus.
Lo so come funziona la comunicazione: prendi una posizione, la estremizzi, ti batti per confutare (con numeri, esempi e statistiche) le opinioni avverse. Ma se c’è una cosa che avrebbe dovuto insegnarci il Covid, è che di fronte al gigantesco nanokiller, come lo chiamavano noi un anno fa, è molto più quel che non sappiamo di quel che sappiamo.
Dopo un anno e mezzo, sebbene ancora molto ci sfugga (e questo dovrebbe indurre una certa cautela, anche verbale), però, non siamo punto e a capo. Che i vaccini non siano la soluzione definitiva, l’abbiamo capito, ma che, al momento, siano la miglior soluzione praticabile per (almeno) contenere il virus, anche questo dovremmo averlo capito.
Qualche giorno fa su Avvenire don Roberto Colombo ha riportato uno studio che penso valga la pena di riproporre.
«Alcuni dati del Center for disease control (Cdc) degli Stati Uniti, ripresi e pubblicati dall’autorevole rivista British medical Journal (2 agosto), si aggiungono a quelli già noti e li rafforzano ulteriormente. L’indagine, condotta tra il 3 e il 17 luglio in una località di vacanza del Massachusetts in cui si era sviluppato un focolaio Covid, ha rilevato non solo che il 75% dei positivi era completamente vaccinato, ma anche che i vaccinati e i non vaccinati positivi al tampone molecolare avevano una carica virale pressoché uguale e, dunque, un identico potenziale di trasmissione della infezione attraverso le emissioni delle vie respiratorie, qualora non indossino una mascherina e non mantengano un adeguato distanziamento. Inoltre, delle 346 persone completamente vaccinate che sono risultate positive (90% Delta), il 79% presentava sintomi legati al Covid e solo il 21% era asintomatico. Tra i sintomatici vaccinati solo quattro hanno però dovuto essere ricoverati».
Quindi: chi dice “il vaccino è la risposta definitiva” dice un balla tanto quanto chi dice che non serve a nulla. La verità sta nel mezzo, come diceva sempre Colombo in quell’articolo: i vaccini aiutano a ridurre significativamente le conseguenze cliniche più gravi provocate dal Covid. Ergo è meglio vaccinarsi che non farlo.
Sul vaccino agli under 12 ho le sue stesse perplessità, mentre sul green pass – sebbene veda i grandi pasticci burocratici che crea e avendo perplessità giuridiche in ordine alla sua imposizione – non ne faccio una questione di vita o di morte, anche perché le alternative al passaporto sono il lockdown o l’obbligo vaccinale (che mi piacciano ancora meno del pass). Dunque che se ne discuta pragmaticamente, senza scomuniche (anche perché, ma questa è solo la mia impressione, finirà come l’app Immuni: grandi discussioni sui massimi sistemi e poi… tarallucci e vino per tutti).
Comunque, pass o meno, mi pare più importante fare un discorso di verità: vaccinatevi perché è meglio per voi e per gli altri, ben sapendo che il rischio zero non esiste.
Foto Ansa
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