Amy Winehouse se ne va, ma il rock conosce anche storie a lieto fine
Che cosa rimane della notizia della morte per overdose (mix di farmaci, alcool e droghe) della cantante britannica, icona del new soul, Amy Winehouse? Oltre a un senso di umana pietà, forse l’ipocrita e anche un pò cinica celebrazione di chi conferma che per entrare nella leggenda del rock devi vivere una esistenza “maledetta” e morire giovane. Infatti, i commentatori più autorevoli, hanno fatto il parallelo, pensando all’età del decesso, 27 anni, con i protagonisti del movimento musicale che ha rivoluzionato il secolo scorso: Jim Morrison, Jimy Hendrix, Kurt Cobain, Janis Joplin, tutti rocker morti suicidi o tragicamente per overdose di anfetamine alla stessa età. E ancora: se leggete le biografie di chi ha inventato il rock, a partire dallo stesso Elvis, vi troverete davanti a storie di uomini in perenne sfida al demone della droga e della trasgressione più autodistruttiva, come se questa condizione esaltasse la propria ispirazione artistica. Perfino i Beatles, ultimamente rivalutati addirittura dall'”Osservatore Romano”, raggiunsero il loro apice creativo consumando allucinogeni; le cronache documentano che proprio sotto questa dipendenza fu realizzato “Sgt. Pepper“, da tutti considerato il loro capolavoro. Verità documentata che dà spunti anche a molte leggende metropolitane propagate da quegi ambienti culturali che considerano il rock “la musica del Diavolo” a prescindere. Certo rimane un mistero come autentici gioielli musicali siano potuti essere concepiti in situazioni mentali e fisiche precarie e malate. E’ come se, si riproponesse, per molti rocker, la leggenda di Icaro, che volendo raggiungere il sole si fracassò a terra con le sue ali di cera.
E’ vero, molti si sono comunque salvati e oggi possono raccontare il dramma della loro vita, del quale portano ancora i segni. A noi, in queste ore, piace ricordare la storia di un protagonista del rock che si scontrò con il demone autodistruttivo: è la vicenda di Johnny Cash, coetaneo di età e carriera di Elvis, con il quale divise le prime tourneè trionfali alla fine degli anni ’50. Una storia di peccato e redenzione, un uomo salvato e continuamente ripreso grazie all’amore della propria donna, poi diventata moglie per molti anni, fino alla morte di entrambi. Una donna, June Carter, anche lei cantante di successo, che non assecondò mai gli eccessi del suo uomo, ma lo inchiodò alle proprie responsabilità, facendosi forza dell’amore sponsale che con fatica, Cash desiderava sopra ogni cosa. Un amore sorretto da una grande fede, un senso di appartenenza all’avvenimento cristiano, pur tra mille contraddizioni e tradimenti. Un rapporto drammatico e travolgente, commovente e tenero conclusosi, almeno qui in terra, nel 2003, con la morte per malattia di Johhny, consumato dal dolore per aver perso la moglie qualche mese prima. Fate un giro in libreria e in qualche music store: chiedete biografie con testi tradotti delle canzoni di Cash (un consiglio The Man in Black di Walter e Francesco Binaghi, ed. Arcana), e cercate qualche buon cd (i suoi ultimi, della collana Americana, compresi quelli postumi). Inoltre, vi ricordiamo il film della sua storia Walk the Line, tradotto in Quando l’amore brucia l’anima, sugli schermi qualche anno fa, che si può recuperare tranquillamente in dvd. Scoprirete che il rock è fatto anche di queste buone e positive storie.
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