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L’ambasciatore azero tenta di ripulire la “fedina penale” del suo Paese

Controreplica della comunità armena di Roma alla lettera dell'ambasciatore dell'Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, a Tempi.

Comunità armena di Roma
01/12/2021 - 6:20
Esteri
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Egregio direttore, la lettera inviatavi recentemente dall’ambasciatore azero in Italia, S.E. Mammad Ahmadzada, ci lascia alquanto sgomenti anche per le gravi e false dichiarazioni in essa contenute vista anche la gravità di quanto recentemente accaduto nel territorio della repubblica di Armenia.

Riteniamo invero che l’articolo contestato dal diplomatico azero, a firma di Leone Grotti (“L’Azerbaigian invade l’Armenia. «Come può l’Occidente restare a guardare?»”, 18 novembre), non sia “di parte” ma rispecchi la drammatica realtà dei fatti.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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A dire il vero il rappresentante dell’Azerbaigian in Italia ci ha purtroppo da tempo abituati a simili esternazioni che nulla hanno a che vedere con la verità e nel vano tentativo di ripulire la “fedina penale” del suo Paese da misfatti quotidiani, si rifugia in una narrazione distorta, dimenticando inoltre che la libertà di pensiero di cui gode in Italia non è contemplata in Azerbaigian che secondo RSF è al 168° posto su 180 nazioni nella classifica del “Freedom world press”.

È opportuno che l’opinione pubblica sia bene informata su quanto sta accadendo nel Caucaso meridionale e sui rischi che l’Europa rischia di correre non avvertendo il pericolo di un asse Turchia-Azerbaigian che sta ripercorrendo le mire nazionaliste e panturaniche dei famigerati Giovani turchi dell’impero Ottomano.

E, soprattutto, ancora una volta, va posta in evidenza la duplice condotta che il regime di Aliyev ha deciso di tenere sulla questione del Nagorno Karabakh (Artsakh) e nei rapporti con l’Armenia.

In primo luogo, come espressamente dichiarato dal presidente azero, l’Azerbaigian ha sancito il diritto di risolvere con la forza i problemi internazionali in luogo della trattativa diplomatica che, per quanto possa essere lenta e proceda a piccoli passi, è il solo strumento che le democrazie adoperano per non accendere ulteriori focolai di guerra in un mondo già martoriato da troppi conflitti.

In secondo luogo, persevera in una politica di falsa propaganda addebitando al “nemico” armeno azioni compiute dalla stessa parte azera.

Visto che è stato appena firmato un trattato tra Italia e Francia, perdoneranno i lettori la battuta: ma è come se i francesi ci accusassero di averli aggrediti a Ventimiglia o Bardonecchia…

Infatti, il rappresentante di Aliyev in Italia si produce in una lunga dissertazione per giustificare l’ennesima iniziativa bellica dell’Azerbaigian. Dimenticando tuttavia un particolare di non secondaria importanza e cioè che tutto quanto accaduto si è consumato sul suolo della repubblica indipendente dell’Armenia (Paese membro delle Nazioni Unite e facente parte del Consiglio d’Europa) che l’esercito dell’Azerbaigian cerca di invadere.

Lo stesso Stato Maggiore azero, nella giornata degli incidenti dello scorso 16 novembre, ha candidamente ammesso in conferenza stampa che quella azera era stata una “azione preventiva”.

I rilievi satellitari dimostrano che le forze armate dell’Azerbaigian sono entrate per alcuni chilometri nel territorio dell’Armenia così come fanno peraltro dallo scorso 12 maggio. Sempre per scopi “preventivi” o perché ritengono, erroneamente, quelle aree di loro proprietà. Un pezzo alla volta, chilometro dopo chilometro, sempre per “prevenire” o rivendicare uno “storico diritto di possesso”.

Una visione arrogante, prepotente e pericolosa della realtà che mina ancor di più la sicurezza del Caucaso meridionale e indirettamente dell’Europa stessa.

Il rappresentante di Aliyev in Italia afferma che l’Armenia sia un Paese monoetnico ignorando forse che quello è l’unico Paese del Caucaso dove la minoranza curda e gli yazidi si sentono al sicuro, mentre l’Azerbaigian, “Paese multiculturale” (come lo definisce l’esimio Ambasciatore) durante e dopo la guerra dei 44 giorni non ha esitato ad uccidere brutalmente anziani e disabili, e non si è fatto scrupolo di danneggiare e vandalizzare il patrimonio culturale e artistico degli armeni, incluse le chiese, le cattedrali, i monumenti, e i cimiteri, negando, ancora oggi, a una delegazione dell’Unesco il permesso di visitare quei luoghi.

Il nostro accorato appello a Sua Ecc. Ahmadzada, ora che il suo Paese ha vinto la guerra da esso scatenata lo scorso anno in piena pandemia, con l’aiuto incondizionato della Turchia e dei jihadisti musulmani all’uopo coinvolti, è quella di cambiare atteggiamento e se è vero che aspira alla pace forse è giunto il momento che si faccia un esame di coscienza e si chieda perché migliaia di madri, azere e armene, sono oggi costrette a piangere i loro figli per una guerra che non avrebbero mai voluto combattere.

L’Armenia non aveva e non ha alcuna ragione per iniziare una guerra. Vuole solo vivere in pace.

Auguriamoci che le conclusioni del vertice tripartito di Sochi del 26 novembre abbiano seguito e possano riportare un po’ di tranquillità e certezza.

Guai davvero a far passare il principio che conti solo la forza militare e la prepotenza.

L’Italia, che tanti legami politici ed economici ha con le nazioni dell’area, deve essere quindi ferma nel condannare ogni prevaricazione del diritto internazionale.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

Mariam Ter Hovhannissian

Foto Ansa

Tags: armeniaArtsakhazerbaigiannagorno-karabakh
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