
Alitaglia Mengozzi?
La trattativa Alitalia-sindacati è ancora in fase di stallo. In compenso per chi ha avuto la sventura di transitare dagli aeroporti di Milano e Roma l’1 e 2 giugno scorsi, il ricordo resterà indelebile. Paralisi. Gente buttata per terra come sacchi a pelo in attesa di conoscere il proprio destino e ritardi di 12 ore per un volo di 55 minuti. Motivo? Il mal di testa che ha colpito simultaneamente 1.300 dipendenti, certificato da altrettanti medici (e nessuno straccio di pm che abbia voluto guardarci dentro questa strana epidemia da Cinecittà). Già, perché la totale paralisi degli scali trovava la sua ratio nella decisione annunciata da Alitalia di ridurre a 3 membri l’equipaggio di cabina al posto di 4 con riferimento ai voli nazionali. Scelta, quest’ultima, deliberata dal precedente Consiglio di Amministrazione dell’azienda senza un adeguato confronto con le parti sociali e con Francesco Mengozzi – Amministratore delegato Alitalia nominato sotto l’Ulivo e riconfermato nella nuova gestione a targa Cdl – nelle vesti del manager che qualcuno comincia a sospettare aver tardato le trattative per fare in modo che la patata bollente passasse all’attuale Cda e, soprattutto, al suo attuale Presidente Alitalia Giuseppe Bonomi.
Quei regali a Air France
L’eredità della gestione passata è infatti pesante sotto molti profili. Il primo a denunciarli è stato l’onorevole leghista Andrea Gibelli, membro della Commissione Trasporti della Camera che, il 12 marzo scorso, ha chiesto in Commissione per quale singolare politica industriale, in un periodo di così grave crisi, Alitalia abbia continuato nella politica delle assunzioni facili e costose. Tipo quella del signor Oliver Jankovec, manager proveniente dalla concorrente Air France, assunto in Alitalia con contratto da dirigente. La risposta a Gibelli è venuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (detentore del 63% del capitale azionario di Alitalia) in termini di semplice trascrizione del curriculum vitae del signor Jankovec, dagli esordi della carriera di manager passando per un incarico alla Commissione Europea fino all’approdo all’ufficio di responsabile Affari Aeropolitici e Commerciali di Air France. Dove, tra il 1997 e il 2000, ha lavorato come relatore «sia a livello tecnico che politico su importanti dossier come il caso Malpensa». Dunque Jankovec arriva in Alitalia il 16 dicembre 2001, in piena crisi internazionale del settore causata dal tragico 11 settembre newyorkese, e per di più arriva dopo aver remato contro l’hub di Malpensa per esigenze di bandiera, in questo caso transalpina. Guarda caso, Alitalia continua a perdere fette di mercato sulle tratte intercontinentali. E, guarda caso, continua a perdere a favore degli scali francesi di Parigi Cdg, Lione e Nizza, con i turisti stranieri che partono da Milano e Roma, ma fanno scalo oltralpe per attraversare gli oceani.
L’incredibile “caso Sicilia”
Molti i misteri Alitalia, oltre alla scarsa capacità di riscossione dei crediti sulla manutenzione degli aerei; sembra incredibile quanto è accaduto riguardo alle rotte Alitalia verso la Sicilia, da sempre nota dolente, che generò il paradosso di un intervento di British Airways per ristabilire i voli sull’isola. L’articolo 36 della legge 17 maggio 1999, infatti, prevede il finanziamento degli oneri di servizio pubblico ai servizi aerei di linea effettuati verso un aeroporto che serve aree periferiche, e questi oneri di servizio pubblico sono già stati imposti per rotte riguardanti la Sardegna. Agli inizi di quest’anno è stata indetta una gara per l’assegnazione di rotte analoghe per la Sicilia, e la gara è stata vinta dalla società Airone, risultata unica offerente. Ma chi era l’unica altra concorrente, “squalificata” per non idoneità? Ma Alitalia, naturalmente. E perché ha perso la gara? Semplicemnte perché la sua offerta sarebbe arrivata in ritardo, rispetto alla scadenza, presso gli uffici dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (Enac). Non c’è che dire, altra prova di efficienza della gestione Mengozzi. E sul fronte dell’antitrust, che dire di Alitalia? Malgrado le direttive comunitarie stiano cominciando a produrre risultati importanti in termini di abbassamento dei costi per gli utenti, Alitalia controlla oltre il 60% del mercato con costi fuori dal mercato europeo ed è stata presa di mira dall’autority di Tesauro per le sue “relazioni pericolose” con vettori minori come Meridiana o Volare e per certe “relazioni particolari” con alcune agenzie di viaggio, instaurate a suon di finanziamenti per tagliare l’erba sotto i piedi alle compagnie concorrenti, e che sono costate alla nostra compagnia di bandiera multe di due milioni di euro.
Malpensa val bene una Fiumicino
Alla fine, a forza di perder tempo con le politiche di basso cabotaggio e i giochi politico-finanziari intorno all’hub di Fiumicino, il problema serio sta diventando il “che fare” per salvare un’azienda che, avanti con lo stile delle certificazioni mediche (e non), rischia il fallimento. Dunque, come si esce dallo strisciante stato di crisi permanente? «Prima di tutto bisognerebbe dare slancio alle società di gestione aeroportuale per creare condizioni appetibili ai vari vettori nel quadro di indirizzo preciso del servizio pubblico», dicono i membri del Cda Alitalia che avanzano sempre più gravi perplessità sulla gestione Mengozzi. «Inoltre, occorre una politica industriale che rilanci la compagnia in termini di competitività, decisioni basate sul pragmatismo e sul mercato, andare in forze là dove la domanda di volo è più alta, nel Nord Italia, l’area più ricca d’Europa e con il più alto bacino di utenti. Infine, occorrerebbe definire un quadro normativo per favorire l’uscita dalla crisi».
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