Ahi! Patricio

Di Caterina Giojelli
16 Settembre 2004
Dacci oggi la nostra sinistra quotidiana, ma liberaci dal suo latte alle ginocchia. Cronaca di una mezza giornata, spesa tra la libreria Feltrinelli dove si presenta l’ultima fatica letteraria di Walter Veltroni e il festival dell’Unità (col Filippo Penati)

Esci dall’ufficio con la notizia del rapimento di Simona Pari e Simona Torretta. Entri alla Feltrinelli per cercare il Grazie di Daniel Pennac e ti imbatti nella presentazione di Senza Patricio, ultima fatica letteraria del sindaco di Roma Walter Veltroni. Ovvero, secondo quanto recita il retrodicopertina, «cinque storie intense e struggenti sull’amore tra padri e figli (urka, ndr), sulle angosce e i sogni del nostro tempo (urka urka, ndr), sul passato e sul futuro (miii! e il tutto in 124 paginette a caratteri cubitali come quelli del primo rigo dell’abecedario che ti sottopongono all’esame oculistico? ndr)». Massì. Se al primo viaggio in Africa Veltroni ha scritto un libro per dire che Forse Dio è malato, naturale che, al secondo in Argentina, ha visto su un muro una scritta grossa così (perciò i caratteri del libro grossi così) e, si capisce, ha scritto il passato e futuro del mondo di angosce e sogni che passano nell’animo degli esseri umani. Già, ma come introdursi a tanta intensità struggita, se proprio qui, alla presentazione dell’opera, nell’augusta Feltrinelli di Milano, l’apparizione dall’Autore è tanto fugace da ridursi a una mezz’oretta scarsa? Comprendiamo però il Sindaco. La colpa non è sua. È il mondo che lo reclama. E giustamente, Lui, che dedica il suo Senza Patricio «a Martina e Vittoria, perché cerchino di essere giuste», si fa in quattro per cercare di essere giusto. Come sindaco, giacché gli hanno rapito a Baghdad una concittadina. Come uomo, per assicurare il suo impegno a una famiglia distrutta. Come padre, perché deve partecipare «alla fiaccolata di Roma per Beslan coi visi di tanti bambini, bambini cui è impossibile far credere che il domani sarà meglio di ieri». Come figlio, perché «riconoscente per l’assenza» di un padre perduto troppo in fretta, sempre cercato e interiormente presente. Però mezz’ora per interpretare a quale dei quattro risalga la sua fatica letteraria, ce la concede. Dunque, approfondimento: “Patricio te amo. Papà” è un murales visto nel centro del quartiere La Boca. Già, e chi è Patricio? Chi è suo padre? Chi sono io? Chi era mio padre? Verità (007 italiani e argentini sulle tracce dello sventurato imbrattatore) o sogno (immaginazione, ispirazione)?
La seconda che hai detto, perché Veltroni dice che ha «bisogno di leggerezza, bisogno di trasferire la pesantezza del viver oggi altrove, di un finire in volo meraviglioso come Saint Exupery, e scomparire». Alla fine, grazie al libro e ai suoi presentatori (Ugo Riccarelli e Fernanda Pivano), a Patricio gli saran fischiate le orecchie. Alla fine, il dubbio resta. Qual è il Veltroni che ha inseguito con la fantasia lo sfortunato papà che scrive sui muri della Boca? Il Sindaco (oddìo, nell’ispirazione di un murale), il padre (nella dedica del libro), il figlio (nell’ultimo racconto autobiografico), l’uomo («Queste quattro parole mi sono entrate nel buco del vuoto»)?
Forse tutti e quattro, spiegano i Veltroni, che sono facce “leggere” dagli anni Venti ai giorni nostri, da “Tonio” Saint Exupery all’Areopostal ai desaparecidos, dalle Twin Towers alla povertà della Boca, fino all’atemporalità di ciò che siamo. Chiarissimo. «Siamo terra di grandi cose. Siamo roba per poeti e visionari, non per saggisti e statistici. Siamo Borges, non Fukuyama. Siamo Maradona, non Beckenbauer. Ma siamo fragili, come fuscelli». Bellissimo. E poi «l’incanto del vivere serenamente è la più grande conquista». Che ci accompagna serenamente verso l’uscita della Feltrinelli con l’animo preso da quello sbigottimento intenso e struggito che ci fa rinunciare a Pennac e adottare come rimedio omeopatico alla banda dei quattro L’insostenibile leggerezza dell’essere. Poi, però, al calar della sera, ci trafigge il pensiero del raggio di Walter in volo per Roma, il pensiero dominante che non sarà presente alla Festa de l’Unità. Perciò si va alla Festa de l’Unità. Tanto, lo ammette anche Veltroni per il suo Patricio che «niente di quello che ho scritto è razionale». Delusione. Int. e strugg. La salamella dei comunisti costa quanto quella del rosticciere in via Solferino. Filippo Penati e Lella Costa vogliono la radiazione di Vittorio Feltri per come si è comportato con la famiglia Baldoni. Conferenza? Boh. Ma il drappello nel tendone applaude. Passeggini e anzianotte trottano tra manifesti e tavoli di collanine etniche. Divertente? Forse. Stand: “Sei un artigiano? Cgil Milano”. Divertente. Al comizio c’è un tale che inveisce contro Bush. E si capisce, vendono magliette “Usa Army” a soli cinque euro. Non c’è musica. Si passeggia chiacchierando tra gli odori di hot dog. Calma piatta. Eppure stanno succedendo tante cose nel mondo. Cose tipo guerra, Beslan, tagliateste. Specchi di fermenti qui al Festival intitolato a…? Niente. Neanche un’uva Fogarina. Patricio starà dormendo? Chissà. Magari starà passando da Feltrinelli al Festa de l’Unità, cantando, «una canzone triste triste triste, triste triste triste, triste triste triste, triste…».

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