Tre parlamentari afghane hanno dichiarato ieri che la modifica del codice penale è stata bocciata.
Tutti i giornali hanno riportato pochi giorni fa la notizia che il governo afghano stava pensando di reintrodurre «la lapidazione fino alla morte» in pubblico per il reato di adulterio. Quella proposta è stata respinta.
LEGGE RESPINTA. Human Rights Watch aveva denunciato che la reintroduzione della lapidazione avrebbe «riportato le leggi afghane 12 anni addietro, a quando i talebani erano al potere». Ma ieri, a margine di un incontro organizzato da Action Aid, le parlamentari afghane Shukria Barakzai, Nilufar Ibrahimi e Raihana Azad hanno dichiarato che la modifica del codice penale è stata bocciata.
«IO LAPIDAVO LE DONNE». La pratica della lapidazione delle adultere era molto popolare nell’Afghanistan dei talebani, come ricordato in una grande testimonianza a Tempi da Farhad Bitani, afghano profugo da due anni in Italia, che all’età di appena 12 anni a Kabul assisteva regolarmente alle esecuzioni allo stadio: «Io non avevo mai provato sensi di colpa, quelle crudeltà mi sembravano il giusto prezzo pagato dai peccatori per i loro misfatti. Non ho mai visto nessuno esprimere pietà per le vittime nello stadio: quando un condannato non moriva subito, la gente inveiva perché l’esecuzione fosse portata a termine. (…) Anch’io, in passato, ho partecipato alle lapidazioni. Sì, a dodici anni io ho lapidato due donne insieme alla folla».
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