

Correre ai ripari, prima che sia troppo tardi. È questo il mantra che rimbalza nelle aule parlamentari dopo essere rimbalzato nelle aule giudiziarie. Giudizio impietoso e una recrudescenza dei nostri tempi, quella di non voler vedere che l’assenza di valori e punti fermi in una società sempre più fluida portano allo sbandamento dei soggetti più deboli, i minori. L’assenza crea un vuoto e il contenitore è vuoto, vuoto di valori. L’assenza di una istruzione scolastica adeguata, l’assenza di una stabilità familiare, l’assenza di modelli positivi e valori, sommata all’assenza dello stato ha generato “mostri“ e un “inferno” nelle nostre periferie e non solo.
A Caivano si è consumato l’ultimo degli episodi delittuosi che coinvolgono minorenni, nella cornice triste e vituperata, nota a tutti, di una realtà degradata, sotto tanti punti di vista. La reazione dello Stato però è stata proporzionata all’offesa. Almeno questa volta. Blitz, arresti, detenzioni, smantellate le sacche di criminalità e interventi di pubblica sicurezza per ribadire la presenza “degna” di uno Stato che non rinuncia a difendere i diritti e i cittadini.
Ma se la reazione emergenziale è stata efficace, anche la risposta normativa non si è fatta attendere, con il DL criminalità minorile che ha sancito la necessità di interventi urgenti su quel territorio, ma ha guardato ad un orizzonte più ampio, prendendo atto che i cambiamenti epocali o si regolano o si combattono se così negativi per la società. Perché in realtà non tutto è lecito e non tutto è possibile. Negli ultimi tempi si è assistito ad un incremento esponenziale dei reati commessi da minori spesso caratterizzati da una violenza inaudita.
Potevamo rimanere ancora inermi?
Ribolle la nostra coscienza, ancor di più se siamo nella “stanza” nella quale si scrivono le norme. Pertanto l’intervento normativo non si è fatto attendere e dopo aver visto la caduta dell’ultima foglia di fico a Caivano, è stato portato in consiglio dei ministri il decreto legge n.123/2023 “Disposizioni urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale ha previsto una serie di misure volte a contenere il dilagare dei reati commessi da minori anche in chiave preventiva”.
Una risposta, che vedremo quali frutti porterà nei prossimi mesi. Ma intanto una risposta che serviva per combattere. Ammonimenti, daspo urbani, lotta alle droghe leggere che, stando alle statistiche, sono fruibili già dai 12/13 anni e sono nocive per la crescita dei ragazzi. Poi il fenomeno delle baby gang e del bullismo, l’impunità deve finire. Non serve la maggiore età per capire che certi traumi in età adolescenziale restano per la vita. Fermare i giovanissimi nella loro crescita criminale è possibile se c’è intorno a loro una rete di persuasione, ma anche di repressione, seppure nelle forme meno invasive e proporzionate all’età.
Poi lo sappiamo, la fase adolescenziale è delicata e le contingenze sociali rischiano di incidere sin troppo se non ci sono antidoti per fermare i fenomeni e proteggere l’inconsapevolezza di certe azioni che possono ripercuotersi per tutta la vita, soprattutto per coloro che le subiscono. Non solo lo Stato, ma anche lo Stato, a combattere e prevenire i reati dei minori che un giorno saranno gli italiani del futuro. Speriamo che il dramma di Caivano, sia servito almeno a questo.
Ma non basta, se non c’è una vera consapevolezza che i nostri ragazzi – plurale maiestatis e senza offesa per nessuno – devono prima della repressione legittima, ritrovare una educazione ai sentimenti e alla moralità che questa società non insegna loro. Se ai bambini insegniamo a camminare, a tenere in mano una forchetta o dare due calci al pallone, non possiamo esimerci nella loro crescita ad educarli ai sentimenti e saperli riconoscere. Una coscienza che “abbaia” internamente quando si stanno per commettere azioni insensate.
I ragazzi devo essere seguiti nella loro crescita, bisogna fare molto di più, insegnare loro a camminare lungo una vita spesso difficile. Crescere nella consapevolezza che non si è soli. Un compito arduo, in una società che preferisce non credere in niente.
L’autore di questo articolo è deputato di Fratelli d’Italia
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