
Annuncio e testimonianza, secondo l’esempio di san Domenico

Caro direttore, in questi giorni, Santa Madre Chiesa, quella vera e non quella delle opinioni, ci invita a fare memoria di un grande santo, san Domenico, vissuto nella stessa epoca di san Francesco e morto a Bologna nel 1221, cioè esattamente 800 anni fa. Ho riletto i tratti essenziali della sua vita e penso che dovremmo approfondire alcuni aspetti della sua presenza nella storia della Chiesa.
L’esperienza di san Domenico
Tra molti cattolici di oggi sta girando uno strano e unilaterale pensiero (quando un pensiero è troppo unilaterale è foriero solo di confusione). Si pensa, cioè, e si dice che l’annuncio cristiano debba avvenire solo attraverso quell’atteggiamento che si chiama “testimonianza”. Secondo questo pensiero, sarebbe inutile, ai nostri giorni, un annuncio esplicito della verità di Cristo, perché la gente non lo capirebbe (anche se la prova contraria non c’è). Quindi, si dovrebbe puntare solo sulla “testimonianza”, peraltro non meglio definita. L’esperienza di san Domenico ci dice esattamente il contrario, tanto è vero che egli ha fondato un nuovo ordine di predicatori, cioè di annunciatori espliciti della verità cristiana. Essendo santo, Domenico fondò un ordine “nuovo”, perché capì che la predicazione doveva essere accompagnata dalla propria integralità della vita cristiana, integralità che san Domenico visse attraverso una estrema povertà. Ma, da uomo integro, predicò, cioè testimoniò Cristo con la parola e con una vita convertita.
Perché dividere ciò che è unito?
Mi viene in mente la risposta che il servo di Dio don Luigi Giussani diede ad un giornalista che gli chiedeva perché così tanti giovani lo seguivano. Egli disse: “Perché credo in quello che dico”. Quindi, anche l’annuncio esplicito costituisce una “testimonianza”, se detto con verità e con sincerità. Non capisco perché si debba operare questa distinzione tra testimonianza e annuncio. Tutto serve a comunicare ai nostri fratelli uomini la novità di Cristo. Alcuni possono essere colpiti di più dalla “testimonianza”, altri da un annuncio esplicito: entrambi gli aspetti servono alla causa se esprimono la verità vissuta dal testimone. Perché, allora, dividere ciò che deve essere unito? Mi viene il dubbio che la sottovalutazione, da parte di molti, dell’annuncio esplicito derivi da una sorta di vergogna nei confronti di Cristo, da cui Lui stesso ci ha messo in guardia. Tale vergogna ci spinge a non essere decisi nella nostra presenza nel mondo.
Coraggio e intelligenza
Ancora don Giussani ha descritto le condizioni per rendere efficace il richiamo cristiano: “Senza immanente ed espresso riferimento alla comunità ed alla autorità, la testimonianza può facilmente ridursi, nell’animo di chi osserva, ad esempio di galantomismo o di modernità di spirito o di sensibilità sociale: richiamo a una idea o a un modo di vita, non ad una ‘realtà’ fuori di noi; ‘gloria’ dell’uomo, non di Dio; un’altra forma di regno dell’uomo, non regno di Dio” (Il cammino al vero è un’esperienza 2 Rizzoli, 2006, pag.133).
Preghiamo san Domenico che ci dia il coraggio e l’intelligenza della testimonianza esplicita a Cristo, sia attraverso le nostre opere sia attraverso la nostra sincera parola.
Peppino Zola
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