
Una stalla dopo l’altra
Di stanza a Treviso svolgeva servizio d’autista per un colonello. Era la stagione della Repubblica sociale. Una mattina, sarà stato intorno al mezzodì, un caccia americano prese a sorvolare la città per segnalare l’imminenza di un bombardamento alleato. Treviso venne gravemente ferita, moltissimi i morti. Il giovane, di fronte a quei lutti e all’incoscienza dei fascisti che incuranti della realtà continuavano a cantare “vinceremo vinceremo”, prese la decisione di fuggire. Uscì dalla città alla guida della vettura del colonnello. Poi proseguì a piedi. Con la paura tremenda di essere avvistato e di conseguenza fucilato. Nove giorni dopo, a Monticello Torrevilla, in provincia di Como, trovò riparo nell’abitazione della nobildonna signorina Luisa Ratti. Ella gli diede la possibilità di nascondersi nel suo giardino per oltre un anno. Durante i rastrellamenti che non furono pochi, addirittura si arrampicava sulle piante più alte del giardino per salvare la ghirba. Talvolta vi dormiva anche. Tutto ciò fino al 25 aprile 1945. Quel giorno per la gioia incontenibile e per la sacrosanta incredulità, il giovane che intanto aveva raggiunto i 21 anni essendo nato nel 1924, ebbe un malore. Dal quale naturalmente si riprese per affrontare finalmente una vita altrettanto avventurosa, anche se un filo meno spericolata.
Il protagonista di questa storia che certo potrebbe trovare respiro in un racconto di Rigoni Stern si chiama Luigi Cogliati. Di mestiere fa l’imprenditore e infatti lo incontriamo negli uffici della sua azienda, la Lat Bri Latticini Brianza che si trova nel comune di Usmate Velate, ma una fetta non piccola si adagia nel comune di Casatenovo. «Con la materia prima del latte ho sempre avuto a che fare, già prima della guerra», ricorda Cogliati. «Avevo ancora i calzoni corti quando davo una mano a papà e ai miei fratelli nella conduzione di terreni che la mia famiglia aveva preso in affitto da un piccolo caseificio: dieci mucche e un po’ di latte che raccoglievamo da allevatori dei paesi vicini. Il latte lo andavo a prendere io in bicicletta caricandomi sulle spalle un “brentello” anche da trenta litri. Questo lavoro umile ma fondamentale per un contatto vivace e calloso con la vita l’ho fatto fino ai 18 anni e cioè fino al momento in cui sono stato chiamato alla visita di leva». Poi la guerra, la fuga, la liberazione, eccetera, eccetera. E il ritorno all’antico, all’attività di conduzione dei terreni e del piccolo caseificio artigianale, sempre con la famiglia. Con la sagacia che è una caratteristica che si addice al tipo brianzolo, quella piccola realtà cresceva senza fare il passo più lungo della gamba. Nel 1960, siccome i tempi potevano ritenersi maturi, si formalizzava l’avvio della società Fratelli Cogliati. «Avevamo le idee ben chiare, volevamo stare sul mercato puntando sulla qualità e su un processo produttivo subito all’avanguardia per quei tempi. Diciamo che pure adesso la nostra attività obbedisce a quei due requisiti».
Lievita così la produzione che nello stesso tempo si diversifica. Luigi Cogliati comincia ad essere apprezzato come un eccellente professionista del settore. Tanto che nel 1961 lascia l’azienda di famiglia per assumere il ruolo di direttore di produzione dell’industria casearia Paolo Bonalumi. Vi rimane fino al 1975 mietendo soddisfazioni. «Però con tutto il bene che volevo a quell’azienda, io mi sono sempre sentito un imprenditore, per questo dentro di me ero convinto che prima o poi avrei messo in piedi una mia realtà, comunque nel settore caseario che ormai conoscevo come le mie tasche». Nel 1976 il Cogliati costituisce la società Lat Bri latticini Brianza. Parte con un capitale sociale di 900 mila lire e tanto entusiasmo. Nella sede di Usmate Velate si lavoravano pochi quintali di latte al giorno per la produzione di latticini. I suoi figli lo aiutarono nell’impresa insieme a tre soli dipendenti. Parla con tenerezza di quei primi passi. «A ferragosto, sì proprio il 15 del mese, ho acquistato i primi due quintali di latte. Dopo sei mesi l’azienda arrivava a seicento quintali per fare la mozzarella. Ambulanti e pizzerie furono immediatamente tra i nostri primi e fondamentali clienti. L’azienda dimostrava coi fatti di poter stare in piedi». La fatica quotidiana però non riusciva ad impedire all’imprenditore brianzolo, pur reticente nel mettere in piazza i suoi progetti di sviluppo, di stare all’erta. Di cogliere l’occasione giusta. Che arrivò. Cogliati acquisì l’attività del caseificio Colombo Giovanni collocato a Cologno Monzese, vasto insediamento di case e aziende alle porte di Milano. Con quella operazione si portò a casa il marchio La preferita che di lì a poco diverrà un nome assai familiare.
Diventare adulti vuol dire pure stringere accordi con qualche insegna della grande distribuzione. Cogliati, lungimirante al punto giusto, prendeva a rifornire i banchi dei supermercati con confezioni di mozzarelle e ricotta preconfezionate. Altre catene mostrarono interesse per i suoi prodotti. Ancora una volta risultava necessario crescere. E perciò investire. Intanto l’azienda si trasformava in società per azioni e, nello stesso tempo, veniva presa la decisione di costruire un nuovo caseificio. «Riuscimmo a triplicare la capacità produttiva acquisendo impianti moderni che potessero tenere il passo con la domanda che aumentava giorno dopo giorno. Stiamo parlando del 1986».
Come si diventa grandi
L’anno successivo ecco un nuovo acquisto: l’industria casearia Bonalumi, anch’essa di Cologno Monzese con il relativo marchio Fiore. Con gli anni Novanta partiva lo sviluppo commerciale nel mercato europeo e nel 1997 il fatturato della società era di circa 60 milioni di euro. E quasi a fine secolo Luigi Cogliati, che di rallentare un po’ non ci pensa neppure, acquistava circa 13 mila metri quadrati di un terreno industriale confinante alla sede storica. E nel corso degli anni a venire altri terreni verranno comperati.
Ora stanno per terminare i lavori di ampliamento del nuovo capannone industriale. Che, ci dice con una punta d’orgoglio questo signore che a novembre ha tagliato il traguardo degli 83 anni, diverrà un punto di riferimento per tutto il settore. Ce lo fa visitare a passo spedito con la temperatura corporea che in quell’ambiente in costruzione si abbassa inesorabilmente. Lui non fa un plissé, noi al contrario barbelliamo. Ma cerchiamo di stargli dietro. Durante una benedetta sosta prima di riprendere il tragitto verso gli uffici gli giriamo una domanda semplice. E il Cogliati risponde così: «Chi me lo fa fare? Mi sento come un giovane di vent’anni. Dio mi ha dato la salute e io, facendo quello che faccio, lo ringrazio tutti i giorni. Mi ha dato anche figli che lavorano con me e io questo non lo scordo mai. Ecco, posso dire che ho costruito questa azienda perché amo i miei figli. Spero se ne siano accorti perché mi è difficile dirglielo in faccia. Allora possono anche sopportare il mio essere un po’ un rompiscatole, ma a fin di bene». Prima di lasciarci si toglie un sassolino dalla scarpa. «Purtroppo e non da oggi imprenditore è ritenuta una parolaccia. Si pensa che l’imprenditore sia uno sfruttatore. Mah. Con queste idee l’Italia non va da nessuna parte».
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