In Italia anche il Papa si può indagare per abuso d’ufficio

A quanto pare non avete ricevuto replica dal “solito pirla”. O sbaglio?
Paolo Brocci via internet

Sì, in effetti il senatore Roberto Antonione non s’è fatto sentire. Neanche per farci sapere perché, dopo aver dichiarato «sono pronto a dimettermi», ci ha ripensato su e sta ancora lì. E dire che parrebbe proprio che il sospetto di combutta con l’amico Willer Bordon ci stia tutto. Ricapitoliamo i fatti. La mattina del 15 novembre si vota in Senato l’emendamento Antonione (Fi) per salvare il regime di benzina agevolata nelle province di Trieste e Gorizia. La maggioranza è contraria. Dunque gli ulivisti Willer Bordon e Roberto Manzione dovrebbero votare contro. Invece no. Manzione vota a favore e Bordon abbandona l’aula al momento della votazione. L’emendamento Antonione non passa (157 voti contro e 155 a favore) solo a causa dell’assenza in aula di due senatori di An e uno della Lega. Ma Bordon e Manzione hanno fatto il loro dovere. Cosa succede quando nel pomeriggio di quello stesso 15 novembre va in votazione l’emendamento Bordon-Manzione sulla class action? Succede che, sebbene il presidente del Senato tenga aperta la votazione per un inusuale lunghissimo minuto, invece di votare Antonione traccheggia e preme il pulsante (sbagliato) solo all’ultimo istante. Così facendo non ha il tempo né per correggersi, né, come accade normalmente, per essere corretto da un collega. L’emendamento ulivista passa grazie all'”errore” del senatore azzurro. Infatti, se egli non avesse “sbagliato” i voti contrari sommati a quelli astenuti sarebbero stati pari a quelli favorevoli. Il che, per regolamento del Senato, avrebbe decretato la bocciatura dell’emendamento. Così, la maggioranza tiene e il centrosinistra porta un cero a sant’Antonione per la grazia ricevuta. Seguono pianti e vagare addolorato per Palazzo Madama, davanti ai taccuini dei cronisti, al grido «sono un coglione! Sono un coglione!». Il giorno dopo Libero strilla in prima pagina: “Il solito pirla”. Troppa grazia, fratello.

Non è che adesso, visto che Milano un po’ funziona mentre Roma fa un po’ male all’immagine del sindaco leader del Partito democratico, anche la procura sente la necessità di consultarsi con Walter Veltroni?
Francesco Azziani via internet

Letizia Moratti è un sindaco che sta lavorando bene. E poi sta facendo vincere a Milano l’Expo 2015. Vogliamo non farci del male? Quando c’è di mezzo la trasparenza di Basilio Rizzo (è lui infatti, consigliere comunale di Rifondazione Comunista, lo specialista di denunce e frequentazioni in tribunale) c’è poco da tener conto dell’interesse generale. E poi, siamo il paese dell’obbligatorietà dell’azione penale. Una delle norme più ipocrite che ci siano sulla faccia della terra. Perché? Perché consente ogni sopruso e ogni discrezionalità. Perché? Perché qualsiasi lettera anonima, qualsiasi ex sessantottino travestito da carabiniere, qualsiasi lettura di giornale (meglio se Repubblica, come una volta confessò Gerardo D’Ambrosio) può servire ad aprire un’inchiesta politicamente corretta. Fossimo in un paese decente – come la Svizzera, gli Stati Uniti o la Gran Bretagna – non avremmo questa normativa che obbliga a mettere sullo stesso piano un abuso d’ufficio e lo spaccio di droga. Nei paesi decenti si perseguono penalmente solo i delitti che causano grave danno alla comunità. Invece qui in Italia succede il contrario: in teoria la giustizia persegue anche la scorreggia abusiva. In pratica, chi ammazza quattro ragazzi per strada si mette a fare gli spot pubblicitari e magari finisce anche sull’Isola dei famosi.

Ma Alfredo Robledo non è lo stesso magistrato che indagò anche il sindaco Gabriele Albertini e il governatore Roberto Formigoni?
Paolo D’Antonio via internet

E dagli. L’ho detto che è solo colpa dell’obbligatorietà dell’azione penale. E un po’ anche della obbligatorietà di utilizzare quasi sempre lo stesso perito di tribunale. Lo sa che in Italia ce n’è uno, tale Gioacchino Genchi, che lo chiamano addirittura “superperito” perché è quasi solo a lui che i magistrati “impegnati” si rivolgono per le “analisi” delle intercettazioni telefoniche? Pensi che quando indagò la Fininvest, il pm Alfredo Robledo (milanese, quello che adesso ha incriminato il sindaco Letizia Moratti) ottenne dalla procura di Palermo sia i tabulati telefonici (che, a detta di Diario, casualmente «i magistrati palermitani hanno acquisito fin dai primi anni Novanta»), sia il “superperito” della procura palermitana. Ora, sarà anche vero che questo Gioacchino Genchi è uno che dice di sé «non ho tessere se non quella di slow food». Però, non è un po’ strano che la magistratura “impegnata” utilizzi sempre e soltanto lui? Genchi è il “superperito” di tutti i grandi processi di mafia. Ed è il “superperito” dei processi a Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Ed è il “superperito” che, secondo un’interpellanza alla Camera del deputato Udc Emerenzio Barbieri (la n. 572 del 20/1/2005), «è vice questore a Palermo in aspettativa dal 1998, da oltre quindici anni consulente informatico di diverse procure italiane, coniugato con Tanja Hmeliak, già pm a Palermo e oggi giudice del tribunale di Palermo». Ed è il “superperito” che «attraverso le sue consulenze, svolte a nome della società C.S.I. S.r.l. con sede a Palermo, di cui detiene il 95 per cento delle quote, grazie al controllo di quasi due miliardi di conversazioni, potrebbe essere in possesso di un archivio di dati relativo ai contatti telefonici superiore persino a quello del ministero dell’interno». Ed è il “superperito” che ha lavorato fino al mese scorso alla procura di Catanzaro per conto del pm Luigi De Magistris. Ed è il “superperito” querelato dal procuratore capo di Catanzaro Mariano Lombardi (perché «Genchi non è un perito, svolge indagini abusive») e che recentemente è stato rimosso dall’incarico. Insomma, per metterla in barzelletta – sempre che i “superperiti” che analizzano le nostre conversazioni intercettate dal maresciallo non abbiano nulla da obbiettare – qui in Italia il Papa è l’unico che riesce a fare un’enciclica senza dover consultare Veltroni.

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