«Don Santo, è un miracolo». Il mistero del dolore innocente e la risposta a Veronesi

Di Leone Grotti
24 Agosto 2015
Abbiamo incontrato al Meeting don Merlini, missionario della Fraternità San Carlo a Bologna: «L'Italia ormai è scristianizzata»

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Rimini. Che cosa si può dire davanti al dolore innocente di una bambina di pochi anni che muore di tumore? Si può reagire come Umberto Veronesi, che in un suo libro scrisse: “Il cancro è la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?”. Oppure come la mamma di uno di questi bambini, che proprio pochi mesi fa ha risposto così al celebre oncologo su Facebook: «Non è vero, io attraverso il tumore di mia figlia ho conosciuto Dio».

«UOMINI VERI». Don Santo Merlini ha assistito a tanti di questi «miracoli». A Rimini, al di fuori dello stand della Fraternità dei missionari di san Carlo Borromeo, di cui fa parte, ne racconta alcuni a tempi.it confermando che il Meeting è molto più degli incontri e delle mostre che sono presenti in catalogo.
Don Santo, come lo chiamano tutti, grossetano, è entrato in seminario nel 1996, finita la maturità classica, dopo aver scoperto il movimento di Comunione e Liberazione, insieme alla Fraternità, attraverso il suo professore di religione. «Mi ha affascinato scoprire dei preti che erano uomini veri», racconta. Sacerdote da 12 anni, è stato mandato in missione prima sei anni in Germania, poi altri quattro in Spagna e infine a Bologna, dove vive da quasi tre anni. Ma a che cosa serve un missionario in Italia? «L’Italia, come tanti altri paesi europei, sta vivendo un grande processo di scristianizzazione», continua. «La società cristiana non esiste più, tante persone hanno dimenticato le nostre radici e noi abbiamo il compito importante di rendere di nuovo Cristo presente a chi l’ha dimenticato».

DOLORE INNOCENTE. Don Santo svolge questo compito all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, «in particolare nei reparti di pediatria e ostetricia», dov’è cappellano, insieme alle famiglie dei bambini malati o malformati. Un luogo dove farsi domande urticanti è inevitabile: «Davanti al dolore innocente, le domande di senso si fanno più forti. Spesso mi sento dire: “Se Dio esistesse, nostro figlio non sarebbe passato attraverso questa malattia”. Oppure: “Perché proprio a mio figlio e non a uno più cattivo?”. O ancora: “Perché Dio ci ha dato un figlio per poi togliercelo?”».
Tutte domande che «non destabilizzano» il sacerdote: «Io non ho una ricetta per ogni singolo bambino. So che non devo rispondere ai genitori con una teoria. È facendo compagnia a queste persone che è possibile scoprire insieme quello che Dio sta chiedendo loro attraverso la prova. Io so che Dio ha sempre un progetto positivo: non so perché proprio quel bambino, non so perché quella malattia, ma a causa della mia fede so che è per un bene. E quando le famiglie si aprono e mi danno la possibilità di accompagnarle, a volte lo scopriamo assieme».

«MI CACCIAVANO VIA». Come nel caso della piccola Sofia, vittima prima di un tumore al cervello e poi alla gamba. «All’inizio quando mi avvicinavo alla loro stanza, mi cacciavano via perché non volevano avere niente a che fare con un prete». Poi le cose sono cambiate, «grazie a dei loro amici, i vicini di casa, che appartenevano a Cl e che li hanno accompagnati, facendo sperimentare loro la vicinanza della Chiesa attraverso l’amicizia». Nel tempo, insieme hanno capito che «Dio non li aveva abbandonati, anzi, era vicino a loro durante la malattia. Così hanno scoperto il volto amorevole di Dio».
Prima che «salisse al cielo, pochi mesi fa, abbiamo battezzato Sofia e anche il suo fratellino», continua don Santo. «I genitori hanno scoperto che questa malattia ha avuto un senso. È la mamma di Sofia che con una semplicità che mi ha lasciato di stucco, ha risposto a Veronesi. È un miracolo».

«DON SANTO, È UN MIRACOLO». Questa frase («don Santo, è un miracolo!») il sacerdote se la sente ripetere spesso. Soprattutto dalle donne che convince a non abortire: «Al Sant’Orsola appena ti fanno una diagnosi di malformazione del feto, ti propongono in automatico di abortire. Io ne ho convinte molte a non farlo e spesso, quando il bambino nasceva e magari non aveva nulla di quanto predetto dai medici, venivano a ringraziarmi. La verità è che i miracoli accadono. Anche la bravura dei medici è importante, ma spesso non c’è proprio altro da dire».

30 ANNI. Quest’anno la Fraternità sacerdotale San Carlo compie 30 anni e don Santo non può che sentirsi grato: «Pensando a questo anniversario non posso che riconoscere che questo luogo innanzitutto è stato creato da Dio per me. Una persona di solito pensa: divento missionario per convertire il mondo. Poi capisci che il primo che ha bisogno di essere convertito sei tu e il primo luogo dove questo avviene è in casa insieme ai miei fratelli sacerdoti. Se non incontrassi Gesù nella compagnia con loro, che cosa potrei portare a tutti gli altri in ospedale? Non sono mica un sociologo».

@LeoneGrotti

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4 commenti

  1. Luigi

    Annunciare Cristo? Ma se i responsabili del meeting hanno girato le spalle a Padre Carbone che ha subito attacchi da Repubblica a causa del suo parlar chiaro sul gender. Altro che portare la “spada”, altro che portare la Veirtá compresa quella “scomoda”, altro che “pietra d’inciampo”, altro che “se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo”, altro che “chi scandalizzerá uno solo di questi piccoli”… altre che Si Si No No.

    Vergogna!

  2. Martino

    Gesù Cristo Crocifisso, questo sconosciuto.

    URGE ANNUNCIO DEL VANGELO!

    1. Giannino Stoppani

      Bravo Martino!
      Per prima cosa annunciare Cristo! Il resto viene in sovrappiù! Ma a me pare si pensi più che altro al sovrappiù!

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