Odio Caffarra, s’è ripreso la ragione

Di Berlicche
25 Ottobre 2007

Mio caro Malacoda, bisogna mettere la sordina a questo Carlo Caffarra, questo maledetto arcivescovo di Bologna rischia di rovinarci la piazza. Abbiamo passato quarant’anni a convincere i chierici che la Chiesa deve andare al passo dei tempi, e questo cardinale si mette a predicare che è tempo che la proposta cristiana torni alla sua essenzialità. Una vita per spiegare alla Chiesa che doveva diversificare i suoi interventi e questo cocciutamente insiste sul ritorno al core business. Non che sia l’unico, certe cose le dice da tempo il Vicario del Nostro Nemico, e questo in qualche modo dobbiamo sopportarlo, il pericolo per noi sopraggiunge quando qualcuno lo prende sul serio e fa diventare programma, progetto e lavoro quello che poteva restare solo una predica: il discorso di Benedetto XVI a Verona. Dice il Caffarra: «Non è raro il rischio di pensare che la risposta alla domanda sul senso della vita umana possa essere prima di tutto il risultato o di una dimostrazione filosofica oppure il frutto di un impegno morale. Alla domanda cioè quale è il senso della vita umana, non è raro il rischio di rispondere: “Quello che tu colla tua libertà le darai”. Se uno cede a questo rischio, si mette nella condizione di non comprendere la proposta cristiana. Essa infatti inizia dicendo all’uomo che il senso della vita è un fatto già accaduto; è una presenza che sta accadendo ora». La, purtroppo logica, conclusione del suo ragionamento è che «il magistero di Benedetto XVI e in particolare il suo discorso di Verona riconducono i compiti fondamentali della Chiesa ad un unico tema di fondo, nel quale si riassumono tutte le sfide che l’intera modernità ha lanciato alla Chiesa: il tema antropologico. La “novità” non è da pensare e realizzare come un adattamento alle mutate condizioni culturali. Essa esprime la logica intima della proposta cristiana, che è quella di un Dio “che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo”». Non fare il superficiale, non è la solita esortazione, è un percorso tutto e squisitamente razionale che concepisce il cristianesimo come proponibile ad ogni uomo e a ogni popolo per la sua stessa natura e non in virtù di un adattamento.
Questa gente pensa che la sintesi fra fede, ragione e vita sia «un’esigenza intrinseca alla fede» e un’aspirazione naturale della ragione. Noi continuiamo a parlare di ragione e scienza e questi ci sorpassano con le ragioni della vita tenendo in vita la ragione, anzi, «allargandola». Da secoli noi ci preoccupiamo di ridurla, autolimitandola al misurabile, per soddisfare così la volontà di (onni)potenza dell’uomo. Questi nuovi e impertinenti chierici, denunciando i limiti di questo uso che osano definire «improprio», ne sposano l’aspirazione illimitata. Non possiamo permetterci che, prima o poi, tornino a ripresentarsi come i paladini del libero pensiero e della libera ricerca. Loro dicono che la libertà, per un uomo che è nel deserto, è indicargli la strada per un’oasi. Noi diciamo che la libertà è il deserto. Dici che così l’uomo rischia di morire? Ma non è quello che vogliamo?
Tuo affezionatissimo zio    Berlicche

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