Preziosa è l’idea

Di Inversetti Elena
06 Settembre 2007
Prima il signor Morellato che s'inventò i cinturini da una fabbrica di scarpe, poi la famiglia Carraro e l'ennesima invenzione. Quella di un'eleganza facile

«Non sono mica cose da mettere per andare in ufficio!». Erano le 7.30 di un giorno lavorativo e così rispondeva la moglie di Massimo al marito che le suggeriva di indossare i gioielli lasciati in eredità dal padre, mentre lei era lì a lamentarsi di non avere «nulla di carino da mettere per andare in ufficio». Massimo è Massimo Carraro, l’amministratore delegato del Gruppo Morellato, specializzato nella creazione e produzione di gioielli e orologi. «Devo ammettere però che aveva ragione, non erano adatti, erano troppo impegnativi. Non si trattava tanto di un problema di valore, quanto piuttosto di un fatto di gusto. Fu così, grazie a mia moglie, che mi venne l’idea di realizzare gioielli facili da portare tutti i giorni». Ci tiene a spiegare bene le cose Massimo Carraro che si presenta in camicia a maniche corte, senza giacca e cravatta, easy to wear, in perfetta sintonia con lo spirito delle creazioni Morellato. Mille impegno, cose da sbrigare e grane da risolvere, ma poi quando comincia a raccontare la storia dell’azienda è un fiume in piena.
Un’avventura che dura da più di 75 anni. Partita dal Veneto, approdata a Bologna, per poi tornare di nuovo nella terra delle origini. La sede di Morellato oggi si trova nel bucolico borgo di Fratte di San Giustina in Colle, in provincia di Padova. «Questo partire e tornare è stato dovuto al semplice fatto che il fondatore, Giulio Morellato, era veneto, ha poi sposato una bolognese e così si è trasferito con la famiglia a Bologna. Iniziando con le scarpe. Io purtroppo non l’ho conosciuto, perché è morto negli anni Cinquanta, ma Giulio Morellato doveva essere un uomo geniale. È passato infatti dalle scarpe agli orologi con un’intuizione coraggiosa e vincente. Producendo cinturini. Era il 1930 e l’orologio da polso cominciava appena ad arrivare in Italia. La sua fu una scelta da vero pioniere. Successivamente, dopo la guerra, Morellato tornò in Veneto, cedendo al richiamo della sua terra, e quando muorì gli subentrano i suoi più stretti collaboratori». Fra cui Silvano Carraro, padre di Massimo, che da subito tenne in mano le redini dell’azienda favorendone la continua crescita e preparandola ad accogliere nel 1987 il figlio.
Che vi approdò però dopo un percorso singolare. «Mi sono laureato in legge, per un certo periodo ho fatto l’avvocato conseguendo un dottorato di ricerca che mi ha permesso di insegnare in università a Milano. Chi invece si sarebbe dovuto occupare di affari era mio fratello laureato in economia, che però è andato a studiare negli Stati Uniti, lì si è fermato e oggi è lui che fa il professore universitario. Allora negli anni Novanta è toccato a me e a un altro mio fratello, il più giovane, Marco – sa noi siamo in cinque, tutti maschi – a prendere il posto di mio padre acquisendo l’azienda».

La strada del daily chic
Così dopo anni in cui le difficoltà non sono mancate, è arrivato il successo con una crescita internazionale che ha portato Morellato a diventare leader mondiale nel settore del cinturino degli orologi. «Ma il grande cambiamento è avvenuto nel 1999 quando abbiamo iniziato a intravvedere la possibilità di un mercato nuovo, quello del gioiello moda, da giorno, che chiamavamo easy to wear, e che oggi chiamiamo daily chic. Cioè gioielli facili da portare, ma di qualità. Perché con gli anni il costume è cambiato. Penso soprattutto a quello della donna che lavora, che esce di casa e che vive il tempo libero chiedendo un’attenzione nuova. Proprio come mia moglie».
La cosa sorprendente è che anche nel settore orologi si è verificata un’analoga trasformazione, «pensi allo Swatch che è diventato oggetto moda, non più soltanto uno strumento di misurazione del tempo. Da qui la scommessa: integrare gioiello e orologio». E anche questa volta lo spunto più prezioso è arrivato dalla famiglia. «Dai miei tre figli, soprattutto dalle due femmine di 18 e 15 anni. Con loro e con i loro amici il sabato pomeriggio organizzo a casa focus group durante i quali presento le idee dei nuovi prodotti, osservando le loro reazioni. Sono pomeriggi che mi costano in gelato – ride – ma che si rivelano utilissimi. Per esempio ho scoperto che i teenager non portano orologi, perché per controllare l’ora hanno già il cellulare. Preferiscono invece l’orologio come accessorio, lo apprezzano in forza del suo valore estetico». Come fosse un braccialetto. «Sì, come un braccialetto. Un’intuizione che ci ha premiato e verso la quale abbiamo investito in comunicazione, innovazione e design».
È l’innovazione, infatti, il motore dell’azienda. «La nostra mission è proporre idee sempre nuove. Anche se quello dei gioielli è diventato il business principale dell’azienda, nel 2006 abbiamo riconvertito parte della rotta dedicando grande attenzione di nuovo all’orologio. Questo perché vogliamo interpretare gli stessi valori di moda giovane e facile, easy to wear appunto, anche per l’orologio, nei confronti del quale invece di solito si sprecano proposte complicate. Mentre noi crediamo che resti uno spazio di esigenze del consumatore che va coperto proprio con proposte daily chic».

Il lusso sì, ma accessibile
Con l’acquisto dei marchi Sector, orologi sportivi, e Philip Watch, l’antica azienda che dal 1858 propone orologi eleganti, preziosi, swiss made, Morellato è così riuscito a coprire l’intera offerta del settore, proprio rispettando la peculiarità di ogni marchio, «che è un mondo di valori da preservare. La nostra forza sta anche qui, nell’essere organizzati per team autonomi per ciascun marchio». Una soluzione che dà i suoi frutti tanto che Morellato gestisce 15 società di cui 8 all’estero dislocate fra Francia, Usa, Svizzera, Spagna, Cina, Brasile e Germania, dà lavoro a 500 dipendenti in Italia e a 300 all’estero, e prevede di chiudere il 2007 con 230 milioni di euro di fatturato consolidato. Ecco dunque cosa succede quando un’impresa si vota alla creazione di qualcosa di bello, davvero, da far utilizzare a tutti. «La nostra idea è quella di un lusso accessibile. Insomma, bisogna sfatare il fatto che solo le cose lussuose siano belle: ci sono cose che costano tanto e che, francamente, sono orribili». E questa ricerca per Morellato parte dal particolare, dall’accessorio. Dal superfluo, si potrebbe dire, che però diventa necessario «nella misura in cui corrisponde a una soddisfazione emozionale, a un’autogratificazione, quella di un consumatore maturo e consapevole. Non c’entra l’ostentazione. In questo senso abbiamo moltissima attenzione verso il pubblico e verso l’evoluzione del gusto e del costume. Noi guardiamo la vita della gente che cambia. Una prospettiva assolutamente inedita in un settore come quello del gioiello che solitamente è autoreferenziale». Una passione che si fa vocazione al bello che riscopre nella sua portabilità l’essere utile. «Ricordo che quando, durante un dibattito, il presidente di Dainese, che produce tute per moto, concluse dicendo di essere orgoglioso per aver salvato tante vite, simpaticamente io ho ribattuto che Morellato, facendo gioielli accessibili, ha salvato tante famiglie».

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