Carnevale Dico

Di Emanuele Boffi
08 Marzo 2007
L'Arcigay in piazza in difesa del ddl Bindi Pollastrini. Confetti, cilici, cinema gay. In tanta confusione, deve stare zitta solo la Chiesa?

A farla un po’ semplice, usando un sano e solo apparentemente grossolano senso comune, basterebbe sussurrare che i Dico danneggiano la salute di chi li chiede. Non servono agli eterosessuali né tantomeno agli omosessuali, a meno che questi ultimi non vogliano marcare la propria peculiarità più con le carte bollate che con il fantasmagorico richiamo alla differenza di genere. Il disegno di legge Bindi Pollastrini, in questi giorni al vaglio della Commissione giustizia del Senato, di vantaggi per chicchessia non sembra portarne: rimanda a data da destinarsi la questione pensionistica, rischia di fornire una scappatoia short and shining ai clandestini, equipaggia di migliaia di sotterfugi i furboni che vorranno simil divorziare dopo essersi simil sposati con raccomandata e ricevuta di ritorno. Che il ddl sia pasticciato e dannoso lo riconoscono un po’ tutti: esperti di diritti di famiglia che curano da vent’anni le convivenze gay usando solo del codice civile (Annamaria Bernardini de Pace), magistrati competenti in problemi di sicurezza nazionale (Alfredo Mantovano), avvocati che non possono essere annoverati fra le schiere dei bigotti clericali (Giulia Bongiorno), omosessuali d’antan delusi da ipocrisie democristiane (Angelo Pezzana), anziani diccì che si richiamano ai valori del cattolicesimo democratico (Emilio Colombo), settori importanti del centrosinistra (rutelliani, teodem, Mastella), costituzionalisti di varia estrazione e indirizzo politico (il loro manifesto è apparso su Avvenire il 28 febbraio), insigni osservatori che lo hanno definito solo «l’ennesimo simbolo del nostro paternalismo di Stato» (Piero Ostellino). A farla breve, basterebbe notare che il governo Prodi, mentre toglieva a qualche milione di famiglie il privilegio di dedurre dalle tasse i costi per il mantenimento dei figli, si infilava sotto le lenzuola di qualche migliaio di persone per regolamentarne le effusioni. Una norma che secondo il premier «è una buona legge che andava fatta e che rispetta la famiglia». Di diverso parere il cardinale Camillo Ruini che ha spiegato al Corriere della Sera: «Non si vede la necessità di una struttura giuridica che rischia di sovrapporsi a quella esistente» e che promette di generare solo «confusione». Ha poi aggiunto sua eminenza, a proposito di quelle persone che – teoricamente – avrebbero dei vantaggi dai Dico, che sono proprio loro «a non volerli. A dirlo sono loro stessi. Noi ne conosciamo molti, giacché molte sono le coppie che si sposano dopo aver convissuto. Sono una sorta di coppie di fatto in transito verso il matrimonio. Queste coppie non chiedono forme diverse dal matrimonio».
Poiché però il merito è solo una variabile assai indipendente nel dibattito politico, molto si parla d’altro. Del cilicio della senatrice teodem Paola Binetti e delle sue improvvide battute sulle devianze omosessuali; dei moniti di mamma Andreotti al figlio sulla necessità di evitare il buio molesto di certi cinema romani; dei confetti lilla che l’onorevole Franco Grillini elargisce a destra e a manca sottolineando siano prodotti dall’azienda di Paola Pelino, deputata di Forza Italia.

I trucchetti dei cattolici adulti
Che i Dico siano norma ad alto tasso simbolico non è da sottovalutare, ma non dovrebbero esserlo nemmeno i numeri e le tabelle che ha mostrato il Sole 24 Ore secondo cui con la Finanziaria Prodi «con coniuge e figlio a carico il rincaro medio rispetto all’anno scorso oscilla tra i 106 euro (per chi ha un reddito di 20 mila euro) e i 124 (40 mila euro di reddito), ma se i figli a carico diventano tre l’aumento spicca il volo e sfiora i 190 euro». Come ha notato per Tempi Paola Soave, vicepresidente del Forum delle famiglie: «Il paradosso è che questo governo sosteneva di essere attento ai più deboli, invece è andato a colpire proprio i redditi più bassi». È anche per protestare contro queste incongruenze che lo stesso Forum ha annunciato il proprio intento di portare in piazza i propri aderenti. D’altro canto, anche l’organizzazione del family day del laicato cattolico ha avuto i suoi momenti di defaillance. Secondo i ben informati nelle ore in cui si elaboravano suoi temi e modalità, si era in un momento di particolare difficoltà del governo Prodi. Appena sfiduciato dall’aula del Senato sul voto sull’Afghanistan, il governo barcollava e le associazioni cattoliche più sensibili alle sorti dell’esecutivo non se la sentivano di far precipitare in un altro baratro di polemiche il già claudicante Prodi. Racconta chi era ai tavoli delle trattative in quei giorni che solo per la ferma impuntatura dei più alti vertici vaticani «si è infine deciso di mobilitare tutto il laicato cattolico. Ad un certo punto si era arrivati persino alla paradossale richiesta di far indire la manifestazione da un movimento. Avrebbero potuto così sfilarsi senza disubbidire ai vescovi». Alla fine, a causa anche dell’incerto futuro dell’esecutivo, s’è deciso di prendere tempo e rimandare, incassando un primo – e provvisorio – risultato: nel suo dodecalogo di rilancio dell’opera di governo il premier non ha menzionato il ddl.
Fine della storia? A guardare i numeri, di speranza per un passaggio dei Dico non c’è spiraglio. Al Senato la sostanziale parità è rotta a vantaggio di chi li avversa per le chiare prese di posizione, oltre che di ampi settori della Margherita e dell’Udeur, anche dalle dichiarazioni di Andreotti, Colombo, Pallaro, Scalfaro, tutti contrari al disegno di legge. I conti non tornano e a Palazzo Madama è più di un senatore ad essere convinto che «dopo i feroci dibattiti in commissione si eviterà di portare la norma in aula. Hanno già rischiato una volta sull’Afghanistan, non faranno gli stessi errori di calcolo sui Dico». Il ministro diessino Giovanna Melandri ha fatto appello ai laici del Polo «perché si battano con noi per estendere i diritti dei conviventi». Ma è un appello flebile e che difficilmente potrà essere accolto anche da chi, come Alfredo Biondi, Antonio Martino e Stefania Prestigiacomo, è sempre attento a ribadire il proprio laico profilo. «Il motivo è presto detto – spiega a Tempi un senatore – Prodi ha forzato sui Dico presentandoli come una norma redatta dal suo stesso governo, escludendo così a priori il parlamento cui ha chiesto solo una ratifica. Questo fornisce l’alibi per respingerli anche a chi, epidermicamente, sarebbe portato ad appoggiarli». C’è anche chi, fra i giornalisti più attenti ai pettegolezzi, ha riportato un’altra versione dei fatti: il passaggio di Berlusconi dalla libertà di coscienza al “no” ai Dico è stata preceduto da un’importante e, diciamo così, “sacrosanta” telefonata.

Non possumus? Non so il latino
Se nel merito i Dico sono indifendibili e se sul versante delle strategie politiche si è sprofondati in una palude tattica, rimane per chi li sostiene solo la chiassosa strada della pressione mediatica. Che era già iniziata qualche settimana addietro con la “supplica” di alcuni cattolici progressisti (Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni primi firmatari) affinché i vescovi evitassero di pronunciarsi sulla materia. Poiché così non è andata, e anzi ormai quotidianamente Avvenire riporta i pareri sfavorevoli di alti prelati sul ddl, il dossettiano storico della Chiesa Alberigo è tornato a intervenire sul Corriere della Sera per dare una lettura di “politica ecclesiale” alla vicenda. Ha affermato: «Mi sembra un canto del cigno. Il suo mandato è agli sgoccioli, e si può capire che il cardinale Ruini voglia lanciare un messaggio conclusivo. Nei suoi sedici anni di mandato la Cei è in gran parte divenuta una scuola con un maestro e tanti allievi, e la Chiesa si è ridotta al silenzio…». Il padre nobile del cattolicesimo democratico ha scelto di avvalorare la tesi di una battaglia di posizionamento (e non di merito) della Chiesa. Chiesa che, a suo parere, se veramente diffondesse una nota impegnativa che giudica «moralmente grave» il sì ai Dico compirebbe un atto «più che preconciliare. Sarebbe un atto prerisorgimentale». Meglio sarebbe se i vescovi si occupassero di «parlare di un poveretto morto in croce e che ha predicato la salvezza, il privilegio dei poveri». Più o meno la stessa reazione che ebbe il ministro Rosy Bindi che, all’annuncio della nota, fece sapere «di preferire la Chiesa che parla di Dio» e, dopo l’ormai celebre «Non possumus» di Avvenire contro i Dico, interpellata, rispose di non poter controbattere in quanto «non so il latino».

Se non è un pregiudizio questo
Chi frequenta le stanze vaticane sa bene da quale parte batta il cuore degli inquilini in merito alla questione. Tuttavia, preoccupa che, ancora una volta, si moltiplichino le voci che accusano la Chiesa di ingerenza. Significativo che la Stampa, presentando la manifestazione di piazza che le associazioni gay hanno indetto per il 10 marzo a Roma, l’abbia definita la «manifestazione dei laici», come a voler, fin dal titolo, dividere gli schieramenti in base alla fede. In piazza a sostegno delle ragioni dell’Arcigay ci saranno Ds, Verdi, Radicali, Rifondazione comunista. Il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha auspicato «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio».
In Vaticano si è mal accettato il patrocinio che il Comune di Roma ha dato all’evento e si registra con fastidio il «disprezzo per l’opera dei vescovi» che ogni giorno si vede riaffiorare sulle pagine dei quotidiani. Agli attacchi contro le posizioni della Chiesa ha dato risposta ufficiale il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, presidente della commissione episcopale Vita e famiglia: «Se l’ideazione dei Dico permettesse almeno di ragionare, di portare argomenti, esaminare le situazioni, offrire interpretazioni e confronti sarebbe già questo un risultato rispettabile». Invece, dentro e fuori la Chiesa, c’è chi ne squalifica le parole come retrive o inattuali, chi si spinge a chiedere l’abolizione del Concordato, chi si diverte a metterla in burla sfruttando le (inconsapevoli?) ingenuità dei vari Andreotti e Binetti. Ha concluso Anfossi: «Se questo non è pregiudizio, ditemi voi cos’è».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.