Genocidio? Per Gino Strada in Darfur non è successo niente

Stamane, venerdì 20 ottobre, ore 7 e 20 su RaiTre, c’è stata un’intervista a Gino Strada, riguardante l’ospedale cardiologico che la sua Emergency sta costruendo in Sudan. Alla domanda del giornalista su cosa ne pensasse del genocidio che si sta perpetrando nel Darfur, il buon Gino ha risposto: «Quale genocidio? In Darfur non c’è nessun genocidio; tutta un’invenzione giornalistica». Le confesso, mi sono cascate le… braccia.
Giorgio Corvi Milano
E’ straordinario scoprire che a negare il genocidio in Darfur (oltre 200 mila vittime, ad oggi) siano rimasti solo due uomini al mondo. Il presidente del regime islamista di Khartoum Omar Hassan al Bashir. E il presidente di Emergency Gino Strada. Che non è incorso in una gaffe da sbornia mattutina. Scopriamo infatti che Gino va esponendo da tempo – per esempio sul sito di Democracy Now! – la rimarchevole tesi che «non c’è affatto un genocidio in Darfur, c’è solo un conflitto a bassa intensità che si trascina da 20-25 anni». Pensate un po’, soltanto tre mesi orsono (agosto 2006) il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che autorizza la creazione di una forza di pace per il Darfur. Il paradosso è – come ci ricorda un editoriale del New York Times dell’11 settembre 2006 dal titolo piuttosto significativo: “15 giorni per salvare il Darfur” – che tale forza di pace potrà essere dispiegata solo con il consenso del governo sudanese. «Il che significa – scrive il NYT – permettere al regime responsabile per questo genocidio di decidere se le uccisioni continueranno oppure no». Human Rights Watch ha lanciato una campagna urgente invitando a diffondere questo editoriale del NYT. E tutte le maggiori agenzie umanitarie internazionali, da Amnesty International a Médecins sans Frontières (a proposito, ma Strada non era un medico?), hanno sottoscritto un documento in cui si ribadisce la definizione di «genocidio» per i musulmani neri del Darfur massacrati dai musulmani arabizzati sostenuti dal governo sudanese. Ora, il fatto che il signor Strada non soltanto neghi un crimine così efferato, ma che sia arrivato a piantare le sue tende in mezzo ai carnefici, fa sorgere una curiosità: quelli che sostengono il marchio Emergency sono consapevoli di che razza di associazione “umanitaria” stanno sostenendo?

Piss Christ: un crocifisso infilato in un recipiente riempito di urina dell’autore. è l’opera “sgorgata” dall’intelletto di Andrei Serrano in mostra al Pac (Padiglione d’arte contemporanea) di Milano. Come tutte le opere dell’intelletto umano rappresenta una cultura, una civiltà. Non rimane che ringraziare la Coop Lombardia per il tentativo di istruire, di elevare il livello culturale e la capacità critica di bambini di 11 anni mostrando loro questo capolavoro.
Roberto Bellia Vermezzo (Mi)

Com’era prevedibile la dichiarazione di don Verzè, «staccare la spina è un atto d’amore», ha suscitato clamore e sconcerto. Tralasciando di entrare nel merito dell’interpretazione delle parole del fondatore del San Raffaele (che ha successivamente cercato di precisare meglio il proprio pensiero), è chiaro che tale visione dell’eutanasia comporta una pressione sociale sul medico (e sui parenti del malato): se dare l’eutanasia è un atto di carità, chi si rifiuta di dare l’eutanasia è malvagio. Ora, è vero che l’accanimento terapeutico è sbagliato ed è doveroso sospendere interventi volti esclusivamente a procrastinare per brevissimo tempo la morte imminente provocando inutili sofferenze; ma, una volta chiarita la distinzione tra l’accanimento e l’eutanasia, non si può presentare quest’ultima come un atto d’amore. Infatti, amare qualcuno, già per il non cristiano Aristotele, significa dirgli “è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista”, significa rendere grazie per la sua esistenza, gioire della sua presenza; praticare l’eutanasia è proprio l’opposto, perché significa dire “non è bene che tu sia, non è meraviglioso che tu esista”. Quando qualcuno grida (o sussurra) disperato: “Io sono un peso per te, per me non vale pena esistere in questo stato”, il vero amore risponde: “è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista anche se la tua condizione è dolorosa per te e gravosa per me”. Richiedere l’eutanasia significa dire “io do fastidio, io sono un peso che non vale la pena sopportare”, perciò soddisfare questa richiesta significa dire a qualcuno: “è vero, tu non vali la pena, la tua esistenza non è un bene che compensi grandi sforzi, non è bene che tu esista”. In effetti chi si occupa dei malati terminali sa bene che le poche persone che chiedono l’eutanasia fanno tale richiesta perché si sentono sole. Così, la risposta alla solitudine non è l’eutanasia, bensì l’affetto, il conforto, la compagnia. Non a caso la media di coloro che si suicidano tra gli ammalati di cancro è di gran lunga inferiore a quella dei suicidi nella popolazione sana…
Giacomo Samek Lodovici
assegnista di ricerca
in Filosofia morale
Università Cattolica di Milano
Déjà vù. Fece lo stesso con fratello embrione. Ma non si perda d’animo illustre Samek Lodovici. E non si perda il Tempi della prossima settimana. L’Arcangelo viaggiatore ci ha portato al cospetto di un uomo che farà arrossire i corsi e i ricorsi mitobioetici di don Verzè.

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