
Saluti da Roma
Il piano è semplice, semplicissimo: visto lo stato di perenne emergenza dei conti di Alitalia, il governo – nella persona del sottosegretario alla presidenza, Enrico Letta – starebbe pensando di coinvolgere il fondo Clessidra nell’ulteriore fase di privatizzazione di Alitalia. L’operazione, che sancirebbe la fine di Malpensa come hub e l’avvio di un processo di centralizzazione verso Roma in assoluta controtendenza alle quote di mercato aeroportuale (per il 70 per cento, almeno di traffico internazionale, al Nord), sarebbe strettamente collegata alla defenestrazione dell’attuale a.d. di Alitalia, Giancarlo Cimoli, e all’approdo al vertice dell’ex compagnia di bandiera di Maurizio Basile, attuale amministratore delegato di Aeroporti di Roma (Adr) e gradito ad ambienti del centrosinistra. Quest’ultimo è stato infatti posto al vertice di Adr proprio dal fondo Clessidra che è tra gli azionisti di Infrastrutture e Sviluppo, l’ex Miotir. A cascata, questa controlla Gemina cui fa capo, attraverso Leonardo, il controllo degli Aeroporti di Roma. Insomma, al netto del decreto di privatizzazione di Adr che vietava a una società di essere contemporaneamente nel capitale di Alitalia e in quello di Aeroporti di Roma (questione che certamente qualcuno solleverà in sede di concorrenza europea), Roma è pronta al colpo grosso del mercato aeroportuale ai danni di Malpensa e Linate.
E il capoluogo lombardo, come si difende da questo assalto? Fatto salvo il governatore Roberto Formigoni e il deputato di Forza Italia Maurizio Lupi, che ha presentato un’interpellanza parlamentare urgente sul tema, tutti gli altri sembrano disinteressarsi del futuro di Sea, la società che gestisce gli scali lombardi e che continua a creare utili e aumentare i volumi di mercato. D’altronde il Pirellone può poco, visto che la società rimane controllata per l’84,5 per cento dal Comune di Milano: il quale, dopo che l’asta per l’acquisizione del 33 per cento del pacchetto azionario posto sul mercato da Gabriele Albertini è andata deserta o fallita (l’offerta avanzata da Goldman Sachs, 630 milioni di euro, è stata giudicata inammissibile vista l’assenza di fideiussione, firma sui patti di sindacato e carattere vincolante della stessa), sembra troppo preso da quella bolla di sapone chiamata Metroweb per decidere se vivere o morire.
Il sindaco Letizia Moratti in campagna elettorale pareva fermamente intenzionata a bloccare la vendita di azioni e quotare Sea in Borsa con l’assetto attuale: a che pro? Farsi scalare con un’improbabile Opa amichevole? Concertare l’ingresso di privati mantenendo la golden share, formula magica che fa scappare qualsiasi capitalista degno di questo nome visto che cordate finanziarie di livello elevato non sono solite sborsare 1.200 miliardi di vecchie lire per una quota che non garantisce la maggioranza e quindi il controllo? Una cosa è certa: nonostante manchino le conferme ufficiali, attorno al gestore degli aeroporti milanesi da tempo ruotano soggetti che hanno fatto parlare di sé anche per la mancata acquisizione di Baa, società che gestisce gli aeroporti londinesi acquisita dal consorzio spagnolo Ferrovial per quindici miliardi di euro, come la banca d’affari australiana Macquarie Bank, già entrata nel pacchetto azionario proprio di Aeroporti di Roma acquisendo il 44,74 per cento per 480 milioni di euro e advisor del gruppo Ferrovial nell’affaire britannico. Oppure la stessa Goldman Sachs, intenta per un breve periodo a recitare il ruolo di “cavaliere bianco” in un consorzio con General Electrics teso a bloccare la scalata spagnola alle infrastrutture di Sua Maestà e ora in attesa di scaricare liquidità in eccesso su commodities e utilities europee. Chissà se qualcuno a Palazzo Marino batterà colpo.
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