E’ ora di aprire la fase Formigoni

Di Luigi Amicone
24 Agosto 2006
Date alla Lombardia il federalismo che chiede e vi farò vedere come sa governare l'opposizione

La prima impressione, confortata dalla cronaca politica dell’estate, è che l’uomo raccolga un consenso così trasversale che gli amici lo innalzano sugli scudi e i nemici lo stimano come uno dei pochi, seri, grandi avversari. Ma la seconda è che gli uni e gli altri sembrano trattenerlo volentieri nel recinto dorato della Lombardia. La cosa, naturalmente, si riverbera nel chiacchiericcio di corti e masserizie. E così c’è chi lo ritiene un gran bel corridore, ma un pessimo sprinter («Bravo è bravo, è che gli manca il colpo di reni sul filo di lana»). E chi lo dipinge come un’eterna promessa mancata («Chissà cosa vuole fare da grande»). C’è chi lo pizzica sulla sua discepolanza giussaniana («Le appartenenze non facilitano le carriere politiche, figuriamoci Cl»). E chi lo stuzzica sugli amici («Il primo a non farlo emergere è Berlusconi, anche se come è successo con la lista dei riformisti poi il lavoro sporco lo fa fare a Bossi»). Nato sotto il segno dell’ariete, lui fa spallucce a detrattori e malelingue. «Non è per questo che ci siamo dati appuntamento. O sbaglio?». Roberto Formigoni, 59 anni compiuti in marzo. È del primo segno zodiacale ed è della prima decade. Dieci anni meno di Silvio Berlusconi. «Anche lui ariete – sorride il governatore – ma della seconda decade».
Ma non è per questo che ci siamo dati appuntamento. Piuttosto ci interessa capire la sua prospettiva politica. Di leader che ha scelto l’estate 2006 per dare l’accelerazione a un disegno di grande respiro riformistico. Una parola grossa. D’accordo. E anche un po’ assente nell’Italia in cui tutti sono riformisti eccetto che in casa propria. Fatto sta che questa storia del “federalismo funzionale” non è la solita chiacchiera politichese. Grazie a Formigoni (e a un sapiente gioco di squadra a cui non si sono sottratti né l’amica sindaco di Milano Letizia Moratti né l’astuto e politicamente pesante presidente della Provincia di Milano, il diessino Filippo Penati) “riformismo” è tornata ad essere parola degna di stare sotto i riflettori della grande politica nazionale. Non siamo ancora al “metodo Merkel”. Ma si capisce che l’operazione in Lombardia potrebbe fare da battistrada a qualcosa di analogo sulla scena politica nazionale.
Intanto il “metodo” è l’apertura al dialogo sulle cose da fare. «Ho appoggiato la proposta del sindaco Moratti di una legge speciale per Milano perché la città merita più attenzione di quella che tradizionalmente le è stata riservata. Quanto alla proposta di Penati sulla città metropolitana, non ho pregiudizi. Né favorevoli né contrari. Se Penati trova un accordo con i comuni non avrò alcun problema a innescare le procedure regionali in materia. Ma deve esserci l’accordo con i comuni, Milano in testa, naturalmente».

Il nuovo Palmiro della Margherita
Mentre su Roma Formigoni ha qualcosa da dire a Francesco Rutelli: «Il partito democratico? Non ci credo. Le tradizioni politiche contano qualche cosa. Sciogliere i Ds in un nuovo Ulivo mondiale del sassofonista Clinton? Suvvia, non scherziamo. E poi l’ala popolare della Margherita non accetterebbe mai la cancellazione della propria sensibilità e storia politica. No, mi pare proprio una chiacchiera strampalata l’Ulivo mondiale. A meno che.». A meno che? «Non è Rutelli che ha citato Togliatti come modello di relazioni con i cattolici?». È Rutelli. «Bè, a parte il lapsus che dovrebbe far riflettere quei cattolici che hanno votato per l’Unione (a proposito, come si sta comportando il governo Prodi con i “princìpi non negoziabili” enunciati da papa Ratzinger?), quella bizzarra citazione è la involontaria conferma che il partito democratico non si farà. Sì, certo, a meno che Rutelli non diventi il nuovo Palmiro Togliatti».

La prima mossa a Prodi
Una sorpresa, invece, è stata l’apertura di credito esibita dal presidente del Consiglio. Che a luglio è venuto a Milano per celebrare (di fatto) la buona amministrazione del governatore di Forza Italia. «Tutti abbiamo ben chiaro che senza il contributo trainante di Milano e della Lombardia l’Italia non può riprendere il cammino verso lo sviluppo e non è in grado di esercitare un ruolo innovativo», così parlò lo Zarathustra dell’Unione. E, tanto per precisare, aggiunse che la Lombardia a guida berlusconiana «deve diventare la capitale della sanità e della ricerca». E, per giunta, che «il governo intende appoggiare con ogni mezzo anche l’organizzazione dell’Expo 2015 a Milano». Puzza di inciucio, come accusano da Liberazione alla Lanzillotta? Risposte ad alzo zero sono arrivate dai leader della stessa Unione in Lombardia. «C’è stata soltanto l’approvazione alla luce del sole di una serie di proposte concrete» ha detto Penati. «Volgarità, linguaggi da Terza Internazionale, ululati alla luna» ha replicato Luciano Pizzetti, segretario regionale ds. Facile per Formigoni unirsi al coro delle smentite. è talmente “inciucista”, il governatore, che da leale competitor attacca: «È un governo che non ha maggioranza. Non è una mia opinione. È un fatto. Prodi deve farsene una ragione e avanzare una proposta per uscire da questa situazione. Non si può governare un paese come l’Italia, con tutti i problemi che ha, a colpi di fiducia».
Per quanto riguarda la Lombardia Formigoni non chiede uno statuto speciale, ma «la competenza piena su alcune materie che sappiamo di poter gestire in maniera più efficiente». È la scelta di non alzare barricate e di cavalcare la riforma del titolo V, articolo 116 comma 3, approvato dal centrosinistra nel 2001. Di qui la paziente tessitura di un confronto culminato in mozioni bipartisan che appoggiano la sua richiesta di aprire un tavolo negoziale col governo. Lo scopo è ottenere che almeno una parte del gettito fiscale dei lombardi rimanga in Lombardia. Che la Regione abbia competenze esclusive in materia di sanità. E autonomia sufficiente per implementare il modello di welfare society in cui si è incamminata. Dove pubblico e privato non sono nemici, ma collaborano insieme per rilanciare ricerca e innovazione, costruire infrastrutture (addirittura si prefigura un polo autostradale del Nord), migliorare la qualità dei servizi, della scuola e dell’università (addirittura si prefigura un aumento degli stipendi agli insegnanti). Traguardo di tutto ciò? «Naturalmente il bene dei cittadini lombardi. Ma non solo. Mi domando se non sia l’esempio di come si possa contribuire a superare il bipolarismo di guerra che paralizza l’Italia».

Il premier della minoranza
Mario Mauro, vicepresidente forzista del parlamento di Strasburgo, dice che «Berlusconi è il capo dell’opposizione. Formigoni il capo del governo dell’opposizione. Con dietro una regione che ormai pesa come uno Stato». Formigoni glissa sulla formula, ma non si schermisce. Dalla sua trincea al trentesimo piano del Pirellone è ben autorizzato a dire la sua anche sulla politica romana: «La Casa delle Libertà deve fare tre cose. Primo, un’opposizione seria, cioè che entri nel dettaglio dei provvedimenti governativi senza fare inutile e greve propaganda. Secondo, spiegare alla gente dove stanno gli errori e i danni della risicatissima maggioranza Prodi. Terzo, dire che cosa faremmo noi se fossimo al governo. Questo è il punto che mi riguarda più da vicino. Governo la più grande delle tre regioni a forte e autosufficiente maggioranza Cdl, Lombardia, Veneto, Sicilia. Sono soltanto tre, ma sono le più grandi e le più importanti del Nord e del Sud. Dobbiamo una volta di più dimostrare che il buon governo della Casa delle Libertà non teme confronti».
Tanto per fare un esempio di come si debba incalzare il governo Prodi, Formigoni cita i provvedimenti sull’immigrazione. Il decreto flussi che ha cancellato le quote stabilite dal governo Berlusconi. E soprattutto il disegno di legge Amato, che riduce a cinque gli anni per ottenere la cittadinanza italiana, e il commento del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Rifondarolo che al Corriere della Sera si è lasciato scappare l’idea che con l’apertura all’immigrazione la sinistra governerà in tutta tranquillità e finalmente espugnerà il fronte del Nord così renitente alla leva unionista. Cosa dice Formigoni? «Dico che bisogna essere seri. La politica sull’immigrazione è una materia esplosiva per la democrazia del paese. Certo, bisogna evitare ogni allarme sociale. Ma proprio per questo è stata un’idea poco brillante un ddl che rischia di scatenare una nuova ondata migratoria e di trasformare l’Italia nella Mecca dei poveracci di tutto il mondo. Mi sembra che la materia sia stata trattata con superficialità e, da taluni, con grave irresponsabilità. Basti pensare alle parole del ministro Ferrero. Che in buona sostanza ha detto: “Lo useremo come clava politica contro il centrodestra”. Sono cose veramente aberranti. Detto questo, ci si può e ci si deve confrontare. Non sto dicendo che i provvedimenti del governo in materia di immigrazione siano tutti da buttare. Dico che dobbiamo discuterne. Però l’idea di ridurre a cinque anni i tempi per ottenere la cittadinanza resta comunque una sciocchezza. La cittadinanza non è fatta soltanto dagli anni, ma da una volontà di adesione alla vita di un popolo. Perciò non basta solo la lingua e una generica integrazione culturale. Come si è visto nel profilo dei terroristi di Londra». Il che è quello che da un bel pezzo va dicendo Magdi Allam: Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano? Il governatore della Lombardia certamente sì.

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