RARAMENTE UN UOMO IMPARA LA REALTÀ CHE GIÀ CREDE DI SAPERE. GRAZIE A DIO, LA REALTA’ E’ DONNA

Di Luigi Amicone
09 Giugno 2005
LA PRIMA, SCRITTA DA BRANDIRALI JR. A BRANDIRALI SR. (E A NOI), DICE CHE NON SI CAPISCE PERCHÉ NON VOTIAMO UN REFERENDUM CHE SI FANTASTICA FAREBBE FELICI LA SOCIETÀ, GLI SCIENZIATI E I PAPÀ MENO FORTUNATI. LA SECONDA, SCRITTA DA UNA DONNA FORTUNATA, CHE HA PROVATO E POI RINUNCIATO ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE, DICE CHE FELICITÀ È SCOPRIRE CHE CI SONO PIÙ COSE IN CIELO E IN TERRA CHE NON NELLA FILOSOFIA DEL FIGLIO AD OGNI COSTO, DELLA TRATTA DEGLI EMBRIONI E DELLA FAMIGLIA "MULINO BIANCO"

(Signor direttore, mi perdoni per l’uso privato di uno spazio pubblico, ma sarei lieto di avere un suo commento a questa lettera diretta a mio padre Aldo Brandirali, e sono convinto che la rubrica presso la quale chiedo ospitalità sia un fantastico stagno nel quale lanciare una pietra).
Caro papà, perdonami se mi rivolgo a te da questa tribuna pubblica, ma quel che ti voglio dire mi piacerebbe fosse ascoltato anche dalla grande comunità della quale fai parte. Più società e meno stato. Più Società e meno Stato. Sin dai tuoi primi passi nel movimento questo è stato l’elemento identitario principale, quantomeno su un piano politico e culturale, per giustificare a me e ai tuoi ex compagni di strada non solo il tuo incontro con esso, ma anche il filo rosso che legava la tua esperienza comunista con la tua esperienza cristiana. Più Società e meno Stato, dunque, a rivendicare il primato della coscienza sulla legge, della libertà sull’etica, della persona sulla macchina. Ricordo questo slogan infinite volte nelle tue parole, ma anche in quelle di Formigoni, di Cesana, di Vittadini, di Giussani, a marcare l’approccio ciellino alla politica, un approccio concreto e visionario insieme, proprio come la nostra città, nella quale è germinato (…). Ebbene, quello slogan mi ha sempre affascinato, perché diceva di una forza tranquilla, della solidità di una quercia piantata nella terra. Profumava d’identità, cioè del bene che sento più prezioso.
Oggi, di fronte alla tua posizione riguardo al referendum sulla procreazione assistita, sospetto che quell’identità e quella forza non ci siano più. Oggi tu deleghi, voi delegate lo Stato a tutelare i vostri figli (anzi, tutti i figli, anche quelli degli altri) da una libertà di scelta e da una scienza che vi fanno paura, perché pensate di non essere in grado di tutelarli da voi. Oggi chiedete allo Stato di limitare per legge il relativismo culturale, perché temete che possa contaminare le vostre coscienze. Oggi, di fronte a una società che percepite fragile chiedete l’intervento degli “sbirri”. Chiedete più Stato e meno Società. Sia chiaro, la richiesta è legittima, ma per voi è una novità. Un giorno ti chiederò di spiegarmi come questa adesione allo Stato Etico si combini con la sussidiarietà e con il primato della famiglia in materia di scelta del modello educativo, ma non è questo che mi interessa oggi. Oggi mi interessa capire perché hai così tanta paura dell’Altro da richiedere l’intervento del legislatore per tutelarti. Me lo chiedo, e ne desumo che se la testimonianza cristiana ti lascia così vulnerabile, allora sarà meglio che mi tenga stretto il mio relativismo culturale, il mio “pensiero debole”. (.) Io sono un uomo fortunato, lo sai, ho una moglie straordinaria e due figli meravigliosi. Se non fossi così fortunato, chiederei l’aiuto della scienza per potere essere padre (la fede nel progresso, ricordi, ce l’avevi anche tu), ma oggi la Società cristiana mi dice che non potrei, perché non essendo illuminato dalla luce di Dio non sarei abbastanza maturo da utilizzare correttamente gli strumenti che la scienza mi mette a disposizione, come invece un cristiano saprebbe fare, quindi quegli strumenti verranno banditi, e sarà lo Stato a scegliere al mio posto. Ne concludo che agli occhi di un cristiano io appaio come un minus habens. (.) Con infinito amore.
Marco Brandirali, via Internet
Lascia stare le luci di Dio, le società cristiane e i minus habens. è la premessa che è sbagliata. La legge 40 è stata fatta apposta “per utilizzare correttamente gli strumenti che la scienza mi mette a disposizione” per avere dei figli, mentre il referendum che vuole di fatto abrogare la legge 40 è fatto apposta per fare dell’embrione una merce e per ridurre i figli a polli in batteria (quando va bene). Il 12 giugno non è in discussione il commercio delle banane o il sistema pubblico dell’istruzione, materie nelle quali giustamente vale il contestabile principio di sussidiarietà secondo cui lo Stato è pregato di starsene alla larga se può – e se non può che almeno dia una mano all’iniziativa individuale, non perché ciò sia Etico, ma perché conviene anche allo Stato che il commercio e l’istruzione funzionino bene – da ciò che persone e comunità intermedie realizzano in termini di risposte civili ai bisogni e alle necessità del popolo.
No, nel referendum sulla legge 40 non ci sono sussidiarietà né cristi in discussione, in discussione c’è solo (solo?) un quesito: è qualcosa o è qualcuno questo embrione che è l’ingrediente essenziale del menù (libertà della scienza, cura delle malattie, fecondazione assistita) dei referendari? La risposta ce l’hai davanti agli occhi della ragione, caro Marco, te la da l’uomo di buon senso che è in te e qualsiasi donna appena tornata da un test di gravidanza e che nel caso sia risultato positivo ti dice: “aspetto un bambino”, non “aspetto uno scimpanzè”, “aspetto un ricciolo di materia”, “aspetto un ootide”, “aspetto una blastocisti”. Se questo embrione è un uomo, se questo è vero, come è vero, bisogna trarne tutte le conseguenze del caso. Ma certo, libertà è anche dire “me ne frego” (o “mi interessa come bene amoroso o strumentale”, fa lo stesso, l’indifferenza o la nobiltà delle intenzioni sono questioni soggettive, l’embrione, come la forza di gravità, è realtà che precede emozioni e intenzioni) e siccome posso farlo, siccome la tecnica e i suoi apprendisti stregoni mi consentono di farlo, fabbrico, criocongelo, manipolo e seleziono tutti gli embrioni che mi pare e piace. Certo che posso farlo. Certo che posso negare l’evidenza. Ma allora io e tuo padre ti domandiamo: è giusto? Credi che possa venire del bene dal voltare la faccia alla realtà? Tu rispondi come vuoi, ma permetterai che noi si possa contestare questa richiesta di “libertà”, di falsa libertà, in quanto abolisce la realtà per consegnarci ai sacerdoti di una scienza stile maga Magò, all’idolatria di un’idea di progresso darwinistica, deterministica, dogmatica, meccanicistica, o più semplicemente alla volubilità, fatuità, nullismo delle buone intenzioni e delle più strampalate illusioni sentimentali.
Tu dici: ma non si dovrebbe lasciare ciascuno libero, libero perfino di impiccarsi alla corda che vuole? Siamo d’accordo, però che razza di libertà è una libertà solipsitica, una libertà anaffettiva, una libertà vuota, una libertà che non vuole sapere ragioni, una libertà che si rifiuta di conoscere, una libertà che rifiuta di guardare le implicazioni del proprio esercizio in relazione alla libertà degli altri (e in questo caso le implicazioni sono particolarmente pesanti)? Noi non viviamo su un’isola deserta ma in un mondo comune, non viviamo in una campana di vetro sottovuoto in cui le nostre azioni sono l’esperimento di noi stessi. Pensaci bene, Marco: è libertà quella esercitata a prescindere dalla ragione e dagli effetti che produce sugli altri (per esempio sui nuovi entranti in questo nostro mondo) o non è piuttosto prepotenza, capriccio, sopraffazione? è richiesta di libertà o non è piuttosto richiesta di dare autorizzazione legale e statuale alla prepotenza, al capriccio, alla sopraffazione, quella di chi ci chiede di poter utilizzare a piacimento qualcuno che non c’entra niente con noi, che non ci chiede di venire al mondo ma che noi invece vogliamo far venire al mondo a tutti i costi? E far venire al mondo nel modo in cui è fatto venire (cioè in una provetta, congelato, posteggiato e con i semi di un uomo e di una donna costretti a una fecondazione forzosa, rovistato fino all’ultima elica di dna, invaso e perlustrato dal tecnico di laboratorio in ogni sua piega per poi dirgli quello che mangerà a vent’anni o di che malattia creperà a sessanta) e farlo venire al mondo per fare cosa? Per fare la cavia di laboratorio, per concimare il pianeta della ricerca futura e progressiva, per fare il bambino sano e snello, per fare il bambino farmaco e bello. Insomma, per fare i diritti, i desideri e gli affari nostri. Altro che “padri padroni”, qui siamo alla tirannia degli scienziati pazzi e di una umanità ridotta alle emozioni delle soubrette televisive.
Qui la corda che impicca sono i nostri deliri da onnipotenza, gli impiccati sono gli embrioni umani, non i pomodori, non gli scimpanzè (che tra l’altro oggi sono più protetti e maneggiati con molta meno disinvoltura degli esseri umani) a cui si vuole spalancare la porta della riproduzione à la carte, secondo i gusti, le aspettative, i desideri dei richiedenti; a cui si vuole spalancare la porta della cella frigorifera, per una condanna all’ergastolo o al cesso (se l’umano è difettato) o al posteggio e all’imballaggio “fare attenzione: fragile” (se è bello, sano e vikingo) in vista del viaggio esotico tra Bucarest e Londra; a cui si vuole spalancare la porta del catalogo su Internet e un futuro da terre coloniali, in corpi di donne medicalizzate addette alla produzione in batteria di una nuova umanità. Spiacente, figlio di Aldo, l’obiezione sul cristianesimo è irricevibile. Perché queste cose non le capisce solo Gesù Cristo, ma pure qualsiasi persona che non abbia rinunciato al bene dell’intelletto o che dopo aver raccontato in giro che tra embrione umano e quello dello scimpanzè c’è una differenza poco più importante di una caccola, solo tra sé pensando, guardandosi allo specchio al mattino, non abbia rinunciato a sputarsi in faccia.

Egregio direttore mi è capitato di leggere su un quotidiano la lettera di una mamma che guardando il proprio figlio dice di sapere perché voterà “sì” ai quesiti referendari sulla legge 40. Confesso, sono rimasta sconcertata, non certo, è ovvio, per il percorso affrontato, per la sofferenza e la gioia che si sono alternate, immagino e intuisco, nei mesi se non negli anni della vita di una coppia, bensì per la conclusione, emotivamente condivisibile ma per me razionalmente inaccettabile che chiude il testo: «penso a quanto vuota sarebbe stata la nostra vita senza di lui! Sono una persona religiosa e non penso che sia possibile che Dio possa mandare un piccolo angelo senza che ciò sia giusto».
Sebbene creda che la soglia del dibattito debba essere più alta del dato esperienziale e io non mi senta certo in grado né voglia affrontare questioni etico-filosofiche-scientifiche, porto anch’io la mia storia e le mie emozioni in una discussione che, qualunque sia l’esito del 12 giugno, ha avuto il merito di scuotere le coscienze di persone diverse che hanno riscoperto l’importanza e la bellezza del confronto e, perché no, della sfida intellettuale a misurarsi con argomenti non facili, in un periodo in cui il ruolo più attivo che possiamo svolgere è quello di consumatori..
Arrivo al dunque. Sono una persona sicuramente vuota (sposata da anni, non sono madre) e, forse, anche religiosa (se pure negli ambienti che frequento vengo accreditata come laica e in qualche caso pericolosamente di sinistra), così, giusto per dire, visto che se non è facile esprimere un “sì” o un “no” sembra esserlo molto attribuirsi ed attribuire etichette.
Quando ci sposammo, mio marito ed io sapevamo di volere moltissimo dei figli. Il desiderio e la spensierata certezza dei primi tempi cominciarono ad accompagnarsi, via via che i mesi e gli anni passavano, alla frustrazione ed al dolore sempre più acuto e impotente di non vedere realizzato il nostro sogno. Esami, visite, consulti. Sempre insieme. Insieme percorremmo la strada della nostra ansia e delle insofferenze e della superficialità di tanti specialisti ed operatori del settore. No, non siamo stati molto fortunati nella varia umanità che abbiamo incontrato, ma non mi lamento: da questo “male” sembravano trovare nutrimento l’affetto per gli altri e l’amore tra noi che non ci accorgevamo di essere così vuoti. Eppure molti (parenti soprattutto, ma anche amici o semplici conoscenti) non perdevano occasione di farci notare quanto ci perdessimo senza le gioie di un figlio e come non avessimo bisogno di aiuto e di visite perché senza figli. e quanto ci compatissero per la “nostra condizione” e come non avrebbero mai fatto cambio con noi per nulla al mondo. Qualcuno pretendeva di avere nipoti, qualcuno già ci escludeva dalla sua amicizia perché dei “senza” non sono in grado di capire i “con”. Tutto questo (e altro ancora) con affetto, beninteso. Ci mettiamo a discutere il bene di chi ha titolo di madre, sorella, amico? Sarei stata anche più tutelata sul lavoro con dei figli, che beffa. è stato allora che decidemmo di non ricorrere alla fecondazione in vitro. Sfiniti di nostro, certo, ma anche delusi (come lo siamo oggi proprio in occasione di questa tornata referendaria che a qualche strumentalizzazione offre più di un fianco) da come la società vicina e lontana che pure non fa abbastanza per chi “è” e “ha” abbandona e isola chi “non è” e “non ha”. Questa “disabilità” genitoriale così emarginata non si sconfigge solo con la scienza, come il diverso non si accetta solo per legge.
Per noi si è aperta una strada di nuova conoscenza di noi e della nostra realtà che non si tratta di sopportare ma di vivere pienamente. Ecco il punto, anche il vuoto può essere ricco e fertile di vita. Da credente ne sono convinta, come lo sono che Dio non può essere chiamato benedicente solo del pieno perché Colui il cui nome per molte religioni non può essere pronunciato e il cui volto non può essere dipinto è soprattutto nella sua assenza. Gli altri ci hanno svelato una dolorosa diversità, noi cerchiamo di scoprirne le gioie e vorremmo raccontare loro una diversità normale e aperta ai “senza” e ai “con” nella consapevolezza che l’umana diversità non si combatte ma si ama. Le chiedo la cortesia dell’anonimato perché è vero che “la storia siamo noi” ma “accorgersene non serve a farla più vera e più giusta”.
lettera firmata

ERRARA CORRIGE
Per errore abbiamo pubblicato su Tempi 23 nella rubrica “Lettera a” di Yasha Reibman un testo di Fabio Cavallari. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli autori.
Renato Angelo Ricci precisa che pur considerando nel complesso soddisfacente il testo dell’intervista da lui rilasciata a Tempi e comparsa sul numero 23, non ha ancora deciso se andrà a votare o meno al referendum di abrogazione della legge 40 del 12-13 giugno.

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