
COME NACQUE L’ACTION PAINTING DI BILL CONGDON
«Il “dripping” mi è nato spontaneamente nel momento in cui, ritornando dalla guerra e dalla sofferenza viste alla ricchezza degli Stati Uniti, non ho potuto più sopportare la vita né le cose della vita: dovevo cancellare ogni oggetto per creare la possibilità di un nuovo oggetto, la possibilità di una nuova vita». Così gli anni precedenti la conversione hanno visto il Congdon pittore informale, quello amato dalle grandi collezioniste americane Betty Parsons e Peggy Guggenheim, impegnato in un’opera di “cancellazione” dell’esistente per riscriverlo, come dice Vallora, «in Action Painting, pittura di esubero, di sfogo e di spurgo di materia cromatica».
è una pittura questa che, come si vedrà bene nell’ultimo volume dell’Atlante in programma di uscita, porta l’artista ad identificarsi col proprio gesto creativo, lasciando sulle opere una sorta di sindone di sé. Da questa “festa dei sensi”, in sintonia con il battito più riposto dell’intimità della materia, dalla tutta “pagana” unità con la Grande Madre da cui proveniamo e a cui ritorneremo, un certo giorno emerge per Congdon la Grande Domanda: il problema della fede. E scopre che la rappresentazione del proprio gesto è trasparenza del Gesto di un Altro, che ci salva. è vero che in questa fase Congdon sembra ammutolirsi e la sua genialità quasi scomparire dietro queste “tracce” che – in maniera esclusiva – per un lungo periodo andrà lasciando sulla tela e che rappresentano il Crocifisso.
Ma forse proprio in questo silenzio distillato di sofferenza appare l’intenzione vera del Movimento artistico a cui è appartenuto, l’Action Painting appunto. Se questo termine significa “pittura in azione” sulla tela vissuta come un’arena dentro cui il pittore si getta anche fisicamente, da queste colate di pigmento che saranno i Crocefissi di Congdon ecco trasparire essenzialmente l’azione, anche se subito frenata, quasi contratta in sé, come per timore di mettere “troppo” là dove non c’è più nulla da aggiungere.
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