
Parola d’ordine: connettersi
Se volete sapere quali sono le nazioni che si trovano nelle migliori condizioni per approfittare delle opportunità messe a disposizione dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (note sotto l’acronimo inglese Ict) dovete scorrere la classifica del Networked Readiness Index (NRI), l’indice che riflette il grado di preparazione di un paese a beneficiare delle Ict. L’indice è il risultato della media ponderata di tre componenti: l’ambiente che un paese offre alle Ict (a livello di mercato, regolamenti, politiche e infrastrutture); il grado di preparazione di individui, imprese e governo; l’effettivo uso delle Ict da parte di individui, imprese e governo. L’indice esiste da tre anni e viene presentato all’interno del Global Information Technology Report pubblicato annualmente da Insead (una business school con sede a Fontainebleu, Francia), World Economic Forum e Banca mondiale. L’esame dell’edizione del 2003-2004, dove sono calcolati gli indici di 102 paesi del mondo, evidenzia una serie di fatti molto significativi: dei primi dieci stati in classifica, 6 sono paesi europei nordici (Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia ed Islanda) e 2 nordamericani (Usa, al 1° posto, e Canada); fra i primi 30 stati, 19 sono europei, ma anche l’Asia è ben rappresentata con 7 presenze; i paesi europei latini veleggiano fra il 19° posto della Francia e il 31° del Portogallo. L’Italia, che si ritrova al 28° posto, è preceduta da paesi ad essa inferiori per reddito come Israele, Taiwan, Corea del Sud, Estonia, Malta e Malaysia. Il dato dell’Italia è decisamente interlocutorio: fra la prima edizione (che analizzava 75 paesi) e la terza l’Italia ha perso tre posizioni (meno dell’Austria, che ne ha perse dodici, o dell’Olanda che ne ha perse sette, ma nello stesso arco di tempo Francia e Germania hanno guadagnato la prima cinque, la seconda sei posizioni). Se si vanno a guardare le classifiche dei vari sub-indici, si scopre che l’Italia, 28ma in assoluto, è molto in basso per quel che riguarda l’ambiente a livello di politiche e regolamenti (42° posto) e l’uso delle Ict da parte delle sue amministrazioni pubbliche (34° posto), ma va decisamente meglio per quanto riguarda il grado di preparazione degli individui (23° posto) e del governo (24° posto) all’utilizzo delle tecnologie in questione. Insomma, se non vogliamo che l’Italia scivoli fra i paesi meno “connessi”, con le prevedibili ricadute scientifiche, economiche e culturali, urge connettere le capacità info-tecnologiche non disprezzabili dei cittadini e delle istituzioni con politiche e regolamenti all’altezza delle sfide della knowledge society e della knowledge economy, cioè della “società del sapere” e dell’ “economia del sapere”.
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