Scrivere la realtà

Di Tempi
22 Agosto 2002
Romanzieri che non sono romanzieri, cattolici che non sono cattolici, atei che non sono atei. “Tempi” traduce la grande scrittrice del Mistero incarnato

Ogni volta che penso al romanziere cattolico e ai problemi che deve affrontare, mi viene alla mente la leggenda di san Francesco e del lupo di Gubbio. Secondo questa leggenda, san Francesco convertì un lupo. Non so, peraltro, se se egli abbia davvero convertito quel lupo o se non sia semplicemente stato che il lupo ha notevolmente migliorato il proprio carattere dopo avere incontrato san Francesco. A ogni buon conto, l’animale si è calmato parecchio. Ma la morale di questo racconto, se non altro per me, è che il lupo, malgrado il carattere migliore, è comunque rimasto un lupo. Cosi è — o così dovrebbe essere — per il romanziere cattolico, o per quello che si può se non altro definire il romanziere profondamente influenzato dal cristianesimo. Al di là di quanto la Chiesa possa migliorarne il carattere, se uno è un romanziere, deve rimanere fedele alla propria natura appunto di romanziere. La Chiesa dovrebbe rendere un romanziere un romanziere migliore. Dico dovrebbe perché, sfortunatamente, non sempre succede. Il romanziere cattolico si fa così spesso ipnotizzare dal proprio essere cristiano che dimentica la sua natura di narratore. Questo va bene, non guasta se egli smette di scrivere; ma, la maggior parte delle volte, la persona in questione non smette affatto di scrivere e così da di sé lo stesso tipo di spettacolo che avrebbe dato il lupo se, una volta incontrato san Francesco, avesse cominciato a zampettare come una cerva. San Tommaso d’Aquino afferma che l’arte non necessità di retta intenzione perché si concentra totalmente sulla bontà di ciò che produce. Dice che un’opera d’arte è buona in se stessa: e questa è una verità che il mondo moderno ha per lo più dimenticato. Noi non ci accontentiamo più, infatti, di rimanere entro i nostri limiti onde produrre qualcosa che è buono semplicemente in sé e per sé. Oggi vogliamo produrre cose che siano utili. Eppure ciò che è buono in se stesso glorifica Dio perché riflette Dio. L’artista diviene così indaffaratissimo e compie bene il proprio dovere se si applica alla sua arte. Può quindi lasciare senza timore il compito dell’evangelizzazione agli evangelizzatori. Egli deve anzitutto essere consapevole dei propri limiti in quanto artista: l’arte, infatti, trascende i suoi limiti solo stando entro di essi. Per molti lettori, scrivere narrativa non è affatto un’occupazione di per sé seria. Lo diventa solo se influisce sul loro gusto personale, sul loro spirito o sulla loro concezione morale. Ma lo scrittore che ha vocazione per la narrativa è tenuto alla verità verso quanto succede nella vita e non verso il lettore; non verso i gusti del lettore, non verso la felicità del lettore e neppure verso la concezione morale del lettore. Il romanziere cattolico non deve essere un santo e nemmeno deve essere cattolico; fortunatamente, però, deve essere un romanziere. […] La stessa espressione “romanzo cattolico” è, del resto, sospetta, e la gente conscia delle implicazioni che essa ha non la usa se non fra virgolette. Se dovessi dire cos’è un “romanzo cattolico”, potrei solo dire che è un romanzo che rappresenta la realtà in modo adeguato a come la vediamo manifestarsi in questo mondo di cose e di rapporti umani. Solo in queste e per mezzo di queste esperienze fattuali il narratore si avvicina a una conoscenza contemplativa del mistero che esse incarnano. […] Qualsiasi cosa il romanziere consideri verità deve prima assumere la forma della sua arte e deve incarnarsi nel concreto e nell’umano. Senza immergersi nell’esperienza dei sensi, non si riuscirà a leggere la narrativa. Ma pure non si riuscirà a comprendere alcunché di questo mondo: ogni mistero, infatti, che la mente umana è in grado di raggiungere, passa – eccetto che negli stadi finali della preghiera contemplativa – attraverso i sensi. Cristo non ci ha redenti attraverso un atto diretto di natura intellettuale, ma incarnandosi in una forma umana, e ora ci parla attraverso la mediazione di una Chiesa visibile. Tutto questo potrebbe sembrare lontanissimo dal tema della narrativa, ma non lo è. La prima preoccupazione dello scrittore, infatti, è il mistero così come esso si trova incarnato nella vita dell’uomo.

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