
Vietato vietare
La cosa è curiosa. In un mondo in cui vale solo la “mia opinione” sonoramente in barba ai facta, alla realtà delle cose e addirittura (qui a Tempi osiamo pensare che ancora esista) alla verità delle cose, l’unico tabù è l’esprimere un parere diverso da quello del manovratore, che oramai è una mentalità dominante, una way of life, un modo dell’essere e dell’esistere. Nell’Italia del cogito ergo sum e dell’Ich denke, esiste ancora il reato di opinione.
Provocatoriamente bene come oramai vale la pena di fare, se ne occupa il mensile Area, diretto da Marcello de Angelis. Se l’articolo 21 della Costituzione garantisce la libera manifestazione del proprio pensiero in tutte le forme, in Italia esiste una categoria di reati originati da una manifestazione di un pensiero o di un’opinione dissonante da quella della maggioranza e così in base a leggi prerepubblicane e a più recenti misure legislative speciali il cui spirito, fra l’altro, contraddice la Carta internazionale dei diritti dell’uomo.
Mario Cicala, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e oggi membro della sua Giunta esecutiva centrale, aggiunge che con la Costituzione repubblicana italiana «è paradossalmente anche iniziata la elaborazione di nuovi reati di opinione, a riprova che la volontà di imporre le idee con la forza della legge non è esclusivo appannaggio dei regimi che siamo soliti definire “totalitari”». Da noi si può abortire tranquillamente per una sciocchezza fino al terzo mese di gravidanza — e si potrà sempre meno fumare una sigaretta in santa pace —, ma bisogna compilare bene il modulino delle tasse e mai dire come la si pensa perché la libertà anarchica vale solo se coincide con il pensiero di Antonio Di Pietro, Nanni Moretti, Micromega, etc., etc.
«Il solo limite alla libera manifestazione del pensiero può essere costituito da misure che garantiscono il rispetto della personalità altrui», glossa Cicala. Che poi ricorda Tacito e Roma antica in cui «si punivano […] i fatti e le parole erano libere»; ma prima ancora Lenin, per il quale «la repressione penale delle idee dovrebbe essere così ampia e diffusa da tralignare nel terrore», cioè «il più efficace mezzo di persuasione mai inventato».
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