Giro-girotondo, la sinistra è al fondo

Di Esposito Francesco
28 Febbraio 2002
“C’è una gran confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, diceva Mao Tse Tung. Ma se il “Grande timoniere” avrebbe forse prospettato un “sol dell’Avvenire” radioso per la sinistra italiana, dove di confusione ce n’è davvero tanta, la storia insegna che chi per unico progetto politico ha quello della lotta extraparlamentare e del furore giustizialista, danneggia il proprio Paese. Parola di Giancarlo Lehner, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro di Francesco Esposito

Il party organizzato da Micromega in occasione del decennale di mani pulite si è celebrato sabato scorso al Palavobis, sotto la Madonnina. “Milano, 23 febbraio, nel nome della legge”, titolava, un po’ alla Tex Willer, l’Unità di Furio Colombo. Ovvio che un F. S. Borrelli si sia sentito sufficientemente lusingato da «esprimere compiacimento» per i 40mila presenti, «autoconvocati da ogni parte d’Italia», decisi a «resistere, resistere, resistere» allo strano invasore (democraticamente eletto dagli italiani) di Arcore. Ma anche a mandare al diavolo certi dirigenti di partito – da Fassino a Rutelli, fino a D’Alema – da cui il popolo di sinistra non si sente più rappresentato.

Se perdiamo la magistratura, cosa ci rimane?

In effetti, gli irriducibili scontenti radunati al Palavobis sono tornati a chiedere il “soccorso democratico” dei magistrati. Cioè una magistratura che non si limiti ad amministrare la giustizia, ma torni a fare giustizia, contribuendo a cambiare la società – leggi: ad eliminare “l’anomalia” Berlusconi. E passi se questo metodo (peraltro già sperimentato con successo) può determinare qualche inconveniente forse un po’ discutibile in uno stato di diritto.

«Il fatto è che al Palavobis s’è radunato il ceto che ha regalato all’Italia le sue avventure peggiori», osserva a Tempi Giancarlo Lehner, giornalista e scrittore (autore, per i tipi della Mondadori, di Due pesi, due misure, documentatissima controinchiesta sulla “rivoluzione” di mani pulite). «È la stessa piccola borghesia déraciné, sradicata e frustata, in cerca di rivincite e avventure che troviamo sulle piazze italiane nel maggio 1915, quando il Parlamento, insieme al mondo cattolico, liberale e socialista, era contrario all’entrata in guerra. Fu l’attivismo di quella piccola e media borghesia a imporre al Paese la partecipazione al conflitto.

Un ceto frustrato, alla ricerca di riscatto. Guardacaso, al Palavobis, si sono radunati i trombati delle ultime elezioni, la gente che ha attraversato tutti i partiti – i Paolo Flores D’Arcais (già craxiano), l’area scalfariana, Furio Colombo (uomo Fiat negli Usa, oggi riscopertosi “sovversivo”), fino a Di Pietro (che non si capisce bene se sia di destra, di sinistra o di centro, ma certo è l’uomo giusto per l’avventura). La stessa piccola e media borghesia che finì in doppiopetto nel Ventennio, salvo poi, caduto Mussolini, abbandonare la camicia nera per vestire quella rossa». Perché? «Perché i suoi veri avversari sono da sempre la tradizione cattolica e il pensiero liberale, cioè i fondamenti della cultura Occidentale. Oggi, mentre la sinistra sembrava avviarsi al riformismo, cioè tornare nell’alveo della grande civiltà occidentale, rispunta questa tipologia antropologica che contesta D’Alema perché non offre più avventurismo, ma il cammino più difficile e lento delle riforme. Io lo chiamo il “ceto maledetto”, quello che si scaglia contro tutto ciò che è saldo e solido: contro la Chiesa, come la concezione liberale. E il suo avventurismo eversivo si rivela nella scelta del suo obiettivo più forte: Carlo Azeglio Ciampi, il simbolo stesso dell’unità, della convivenza civile e dei valori condivisi».

Il ritorno della sinistra extraparlamentare

Per Vittorio Feltri, direttore di Libero, la sinistra ha perso la bussola perché «il suo partito guida è morto o, almeno, gode di pessima salute. Risultato: il cosiddetto popolo di sinistra si trova allo sbando. Una situazione simile a quella accaduta trent’anni fa, quando un gruppo di cosiddetti “intellettuali” cominciò a contestare i vertici del Pci, sostenendo che non era quella la strada da percorrere e irrigidendosi su posizioni molto più intransigenti. Ora, non so se si possa individuare un rapporto causa-effetto, sta di fatto che di lì a poco nacque il terrorismo. Questa volta il terrorismo probabilmente non nascerà, ma non va dimenticato che esiste un folto gruppo di giovani – un tempo li avremmo definiti contestatori, oggi si chiamano no-global, sinistra antagonista e centri sociali – una base che è disposta, come si è visto a Genova, a menare le mani». E il centrodestra che può fare? «Il centrodestra deve andare avanti per la sua strada. È stato votato per una necessità maggioritaria d’organizzazione statale leggera, in grado di stimolare le abilità economiche, ma anche per dare un’infarinatura liberale al paese. Questi restano gli obiettivi: certo, non bisogna sottostimare certi aspetti culturali, come fece la Dc che delegò la sinistra ad occuparsene».

Il guaio è, secondo Maurizio Belpietro, direttore de Il Giornale, che una sinistra italiana senza guida, allo sbando, rischia comunque di nuocere al proprio Paese: «la manifestazione del Palavobis ha evidenziato l’esistenza di una sinistra extraparlamentare, una sinistra che usa dei sistemi extraparlamentari per fare politica. Mentre nell’ultimo periodo sembrava che si potesse tornare ad una logica parlamentare, ad un dibattito parlamentare finalmente corretto, una frangia importante della sinistra italiana, vistasi sconfitta alle urne, ha deciso di utilizzare la piazza come strumento di lotta politica. È un fatto preoccupante perché abbiamo purtroppo già conosciuto cosa significhi un movimento extraparlamentare. Una sinistra fuori del Parlamento, con leader improvvisati, senza un progetto politico serio, senza idee chiare su come ottenere risultati, può produrre danni anche gravi al Paese. Il fatto che esistano gruppi fuori controllo che non sanno far altro se non inneggiare al furore giustizialista, non è certo un fatto positivo».

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