L’11 settembre: una sfida per nuovi pionieri

Di Lorenzo Albacete
29 Novembre 2001
La gente mi chiede se, dopo lo shock dello scorso 11 settembre, la vita negli Stati Uniti sia oggi ritornata “normale”. La mia risposta è che la vita americana non sarà mai più com’era prima di quel giorno.

La gente mi chiede se, dopo lo shock dello scorso 11 settembre, la vita negli Stati Uniti sia oggi ritornata “normale”. La mia risposta è che la vita americana non sarà mai più com’era prima di quel giorno. E non semplicemente per un cambiamento delle condizioni di vita esterne, ma per un differente modo di concepire la vita. Lo vedo chiaramente quando metto a confronto la reazione dei fedeli della parrocchia dove lavoro durante i week-end con quella più generale dell’opinione pubblica. La mia parrocchia è nel basso East Side di Manhattan, a pochi isolati dall’East River, in prossimità di Chinatown. Il World Trade Center si trovava circa due miglia a sudovest della chiesa. In effetti alcuni dei miei parrocchiani sono morti nell’attacco terroristico, altri sono riusciti a scappare e moltissimi avevano amici tra le vittime. Per l’80% i fedeli sono ispanici, la maggior parte originari di Puerto Rico e della Repubblica Dominicana. Fin dai giorni immediatamente seguenti alla tragedia, mi è stato chiaro che questa gente non era tormentata dalle stesse domande che si ponevano gli altri miei amici. Non è che sapessero “spiegarsi” quello che era successo; piuttosto era come se accettassero che a certe cose non si può dare una spiegazione. «No somos nada» (non siamo niente), più di uno di loro mi ha detto, ripetendo una vecchia espressione spagnola. Altri mi dicevano «que nos encuentre confesados» (che possano coglierci dopo esserci confessati). Per loro queste cose succedono, semplicemente. Fanno parte dei misteri della vita. Esattamente ciò che l’“american way of life” non riesce a concepire. Il mito americano è quello di un Paese sottratto alla desolazione dal lavoro, dalla creatività e dall’abilità umana. Il dovere fondamentale dello Stato è quello di proteggere, promuovere e difendere la libera capacità creativa dell’individuo di costruire e occupare uno “spazio domestico di civiltà”, dove la vita del singolo possa fiorire nella libertà. Questo spiega perché lo “spazio” è così importante per la mentalità americana e perché la libertà viene considerata da sempre inseparabile dalla proprietà privata. Lo spazio reso “domestico” è il luogo dove l’individuo vive sicuro e perciò libero. E questo è anche il motivo per cui l’idea che sia potuta accadere la tragedia dell’11 settembre è così difficile da concepire per l’americano medio. È la ragione per cui dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre si è sollevata una forte onda di patriottismo, quasi il tentativo di salvare le convinzioni, la determinazione, la forza e la dedizione degli “antichi americani”, quei pionieri che si diedero da fare per addomesticare e incivilire le forze avverse di un vasto continente. L’11 settembre porterà ad un revival dello spirito più originario degli americani oppure segnerà l’inizio di una rassegnazione fino ad oggi del tutto estranea all’America, quella che conclude no somos nada.

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