Cristiani d’Oriente, ultimo ponte con l’Islam

Di Stefanini Maurizio
27 Settembre 2001
Prima di lasciare il Kazakistan per l’Armenia il Papa ha detto: “L’odio, il fanatismo e il terrorismo profanano il nome di Dio”. Prova del contrario è la storia delle minoranze cristiane in Asia e in Medioriente. Perseguitate eppure rimaste come irriducibile ponte tra Islam e Occidente di Maurizio Stefanini

Nel novembre del 1999, l’India. Nel febbraio del 2000, l’Egitto. Nel maggio del 2001, la Siria. E adesso, nel settembre del 2001, l’Armenia. Poichè all’Iraq, in cui per le note e tristi vicende Giovanni Paolo II non ha potuto fare la prevista visita alla “patria di Abramo”, è stato però dedicato un rito simbolico, mancano ormai solo l’Etiopia e l’Eritrea per completare il recente periplo che ha portato il Pontefice al dialogo diretto con quella “quarta famiglia” del mondo cristiano, accanto a cattolici, ortodossi e riformati, che il grande pubblico e i mass-media in genere trascurano, e che invece si riallaccia alle origini dirette della fede.

“Non calcedoniani” e Armenia

Gli specialisti di storia religiosa li chiamano “non calcedoniani”; l’Enciclopedia del Cattolico li definiva una volta “Chiese Scismatiche Antiche”; il moderno Consiglio Ecumenico delle Chiese usa oggi il termine Oriental Orthodox Churches, in contrapposizione alle Eastern Orthodox Churches derivate dal grande scisma tra Roma e Costantinopoli. Un “Oriente”, piuttosto che un semplice “Est” geografico, che rimanda a prima della rottura tra mondo latino e greco, e a un’inculturazione antecedente a ogni identificazione tra fede di Cristo e cultura occidentale. A Calcedonia nel 451 si tenne il Quarto Concilio Ecumenico, che stabilì la compresenza in Cristo della natura umana e di quella divina. Divennero così eretiche le posizioni “monofisite”, dalle parole greche che indicano “una natura sola”, sottinteso “divina”. Ma fuori della posizione “calcedoniana”, oggi comune a cattolici, protestanti e ortodossi, restò anche l’opposta posizione che prese il nome da un patriarca di Costantinopoli di nome Nestorio, e secondo cui in Cristo la natura umana e quella divina erano congiunte solo “moralmente”, con la conseguente impossibilità di dare alla Madonna l’attributo di “Madre di Dio”. Una tesi, questa, che era stata condannata fin dal precedente Concilio, quello di Efeso del 431. In Egitto e in Siria erano monofisite le masse di “indigeni” di lingua egizia e aramaica, in contrapposizione alle élites greche che si erano installate al vertice della società fin dai tempi della conquista di Alessandro Magno. Dall’Egitto, il primo Paese della storia a divenire in maggioranza cristiano, il monofisismo fu poi la forma in cui la nuova fede arrivò in Nubia e in Etiopia, venendone adottata come culto di Stato fin dal IV secolo, più o meno all’epoca della conversione di Costantino. Prima ancora, però, nel 305 l’Armenia era stata il primo Paese al mondo a fare del cristianesimo la propria religione di Stato. E anche l’Armenia divenne monofisita, anche se quasi per sbaglio: non essendosi potuti recare in territorio bizantino per assistere al Concilio di Calcedonia a causa di una guerra con la Persia, i vertici della sua chiesa credettero alla propaganda tendenziosa dei monofisiti siriani, secondo cui la condanna della loro posizione era stata dettata da una recrudescenza dell’eresia nestoriana. Nestoriana divenne invece la Chiesa di Persia, per affermare il proprio lealismo politico verso il potere zoroastriano, ed evitare una persecuzione in quanto presunta quinta colonna dei “romani”, dopo la cristianizzazione dell’Impero. Assolutamente minoritari nella Persia propriamente detta, i nestoriani divennero però maggioranza nell’attuale Iraq, all’epoca provincia persiana. E iniziarono a inviare missionari in tutta l’Asia, fino alla Cina e all’Indonesia, in concorrenza con le altre missioni che dopo la separazione della Siria da Bisanzio in seguito alla conquista araba iniziarono a inviare i monofisiti siriani. Marco Polo avrebbe fatto in tempo a veder fiorire questa cristianità orientale in tutto il suo vigore, prima che le invasioni mongole e la peste nera la facessero scomparire, eccetto che nell’India del Sud.

Una varietà di Chiese

Perseguitati dal potere bizantino, i non calcedoniani salutarono gli islamici in principio come liberatori. Ma quando arrivarono i Crociati, dopo lo scisma che si era avuto tra Oriente e Occidente, la situazione si ribaltò. E gli ortodossi iniziarono a preferire i musulmani ai “latini”, coi quali si collegarono sempre di più gli altri. È per questo che le visite del Papa, così ostacolate nel mondo degli ortodossi “dell’Est”, sono invece state possibili con tale facilità nel mondo degli ortodossi “d’Oriente”. È pure per questo che tra le chiese di origine nestoriana le ali che oggi sono tornate in comunione con Roma sono oggi maggioritarie rispetto a quelle restate indipendenti: quasi un milione di fedeli della Chiesa Caldea rispetto ai 100-200.000 della Chiesa Apostolica d’Oriente o Chiesa Assira tra Iraq, Iran e diaspora; oltre 4 milioni della Chiesa dei Malabarici contro 15.000 scarsi della Chiesa Malabarica in India (anche perché il grosso dei nestoriani che ha rifiutato l’unione con la cattolicità nel Kerala è confluito nella protestante Chiesa dell’India del Sud). In comune tra questi cosidetti “siro-orientali” e le chiese “siro-occidentali” è l’uso liturgico del siriaco, che è poi lo stesso aramaico in cui predicò Gesù. Ma le chiese siro-occidentali non sono nestoriane, bensì monofisite. In Siria la Chiesa Giacobita ha 140.000 fedeli, centro 320.000 greco-ortodossi e 160.000 greco cattolici dei rispettivi Patriarcati di Antiochia e 40.000 siro-cattolici. E in India la Chiesa Malenkara ha 2 milioni di fedeli, contro i 300.000 cattolici di rito malankarese. È di rito siro-occidentale anche la Chiesa Maronita, che però è oggi tutta cattolica, e che prima delle Crociate non era poi né monofisita né nestoriana ma monotelita: una “terza posizione” che voleva le due nature di Dio unite da “una sola volontà”, e che era stata condannata al Terzo Concilio di Costantinopoli del 681, cui però i vescovi libanesi non avevano potuto recarsi perché conquistati dagli arabi cinquant’anni prima.

I casi dell’Egitto, Nubia, Etiopia ed Eritrea

In Egitto, che fu il primo Paese al mondo a divenire in maggioranza cristiano, oggi i cristiani sono tra il 5 e il 20% della popolazione: la proporzione esatta è ignota, visto che molti celano la loro fede di fronte alle pressioni sociali di una maggioranza islamica. Per dirne una, tra i musulmani d’Egitto è battuta corrente che il Paese è desertico perché tutti gli alberi «li hanno tagliati i cristiani per farci le loro bare» (i musulmani si fanno invece seppellire in lenzuoli…)! In questa massa di almeno 12 milioni di persone i non aderenti alla monofisita Chiesa Copta si limitano a 350.000 fedeli del Patriarcato ortodosso di Alessandria, 175.000 copti cattolici e 200.000 protestanti, tra cui i membri di quella Chiesa Presbiteriana Copta cui aderisce anche Boutros Boutros-Ghali. Era copta nel Medio Evo anche la Nubia, l’attuale Sudan, dove però il cristianesimo fu cancellato dalla conquista islamica del XV secolo. L’Etiopia copta riuscì però a resistere, arroccata sulla sue montagne, e grazie al decisivo aiuto dei cattolici portoghesi, arrivati coi loro moschetti e cannoni nel XVI secolo proprio nel momento della decisiva spallata islamica, tentata dal somalo Gragne il Mancino. E ancora oggi la fede monofisita vi è maggioritaria: 30 milioni, contro 15 milioni di musulmani. 1,5 milioni di protestanti, in genere convertiti dalla predicazione di missionari luterani svedesi, e 200.000 cattolici. La Chiesa Etiopica si è però resa autonoma da quella Copta nel 1959, e quella Eritrea, con 1,5 milioni di fedeli, si è a sua volta separata da quella Etiopica nel 1993, seguendo l’indipendenza politica del Paese. Infine vi è, appunto, la primogenita cristianità armena, con i 4 milioni di fedeli della Chiesa Gregoriana monofisita, in patria e nella diaspora.

I più antichi cristiani

Se i siriaci in genere dicono la messa nella lingua di Gesù, i copti usano invece l’ultima fase evolutiva dell’antico egizio dei faraoni, estintosi come lingua viva nel XVII secolo. Al punto che solo dopo averlo imparato Jean-François Champollion potè sciogliere l’enigma dei geroglifici. E la liturgia etiopica è a base di ge’ez, l’idioma dell’antico Impero di Axum. È una cristianità dalla tradizione tanto antica da includere addirittura fortissimi elementi ebraici, ad esempio nella preghiera delle benedizioni. Ma i cristiani etiopici addirittura affiancano la circoncisione al battesimo, oltre a rispettare le normative alimentari della legge mosaica, ed è un piccolo monastero etiopico a custodire l’Arca dell’Alleanza di Mosè. Malabarici malenkari, a loro volta, si autodefiniscono “Cristiani di San Tommaso”, sostenendo che le loro chiese furono create dallo stesso apostolo “incredulo”. “Che ci volete insegnare voi, che i vostri avi erano pagani quando i nostri avevano già visto da secoli la Luce del Vero?”, è un rimprovero che i missionari anglo-sassoni si sono spesso sentiti ripetere, dai preti dell’India del Sud come da quelli d’Etiopia. E si può ricordare che furono cristiani siriani a fare da tramite con le loro traduzioni tra la cultura greca e quella islamica, permettendone poi il ritorno nell’Europa medievale, che li aveva dimenticati. Il famoso “Commentario” di Averroè su Aristotele è il curioso esempio di un’opera di un grande filosofo arabo che però noi conosciamo solo attraverso una traduzione latina di un originale arabo perduto, che commentava l’opera di un filosofo greco conosciuto dall’autore attraverso una tradizione in siriaco.

Mai dato il martirio ad altri. Sempre subito

Ma è un mondo anche di antiche tragedie. Dal grande genocidio degli armeni a quello contemporaneo e meno noto ma ugualmente sanguinoso degli assiri, all’attuale “guerra santa” degli integralisti egiziani contro i copti, alle pesanti limitazioni del sistema iraniano. Ne è mancata, tra Armenia ed Etiopia, la pesante parentesi del marxismo, con la massa dei preti di villaggio etiopici che sopravvissero facendo i contadini, e celebrando le messe tra una tirata d’aratro e l’altra… È una vocazione alla testimonianza intransigente confermata anche dal fatto che il mondo copto non conta gli anni dalla nascita di Cristo ma dall’“era dei martiri”, la grande persecuzione di Diocleziano. Insomma, cristiani la cui teologia è un ponte naturale tra il cristianesimo trinitario occidentale e il rigoroso monoteismo ebraico e musulmano, e la cui presenza fuori dell’Occidente è totalmente immune da ogni peccato originale di colonialismo. Ma che, proprio per questo, non hanno mai avuto tanti timori reverenziali a dire la loro.

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