
Il consiglio dei generali
C’è una pagina del più grande romanzo russo, Guerra e Pace, che più di tutte descrive il segreto dell’anima russa, quella capacità di ergersi al di sopra degli avvenimenti più tragici e universali, e cogliere il movimento assoluto dello spirito che dirige la storia degli uomini. Dopo la terribile battaglia di Borodino, il comandante in capo, maresciallo Kutuzov, viene descritto da Tolstoj in cima alla collina alle porte di Mosca, mentre medita sulla possibilità di reggere l’attacco del Nemico Universale, il Bin Laden dell’epoca, Napoleone Bonaparte. Attorno a Kutuzov «si riunì un’enorme folla di generali», e iniziò il più grande consiglio bellico della storia, e commenta Tolstoj che «tutti, con uno sforzo evidente, cercavano di rimanere all’altezza della situazione». I generali erano russi, francesi, svizzeri, tedeschi, italiani, spagnoli… L’esercito russo riuniva le nazioni, in quella che da lì a tre anni sarebbe diventata la “Santa Alleanza”. Il racconto continua con la descrizione del Consiglio vero e proprio, nella dacia del contadino Sevastjanov, immortalata da un famoso quadro del ritrattista Repin: i generali discutono animatamente, mentre Kutuzov sonnecchia sulla poltrona, accasciato in tutta la sua mole debilitata dalla battaglia e da mille acciacchi; si alzerà alla fine con uno sospiro, per annunciare la ritirata, tra la costernazione degli astanti. Tolstoj chiosa con una descrizione del maresciallo chiuso in se stesso, che medita sulla decisione presa – destinata a cambiare la storia dell’Europa e del mondo intero – chiedendosi quando e dove tale decisione in realtà sia stata presa. È noto che il fatalismo del grande romanziere russo lo portò ai margini della società russa di allora, fino alla scomunica da parte della Chiesa ortodossa e dello zar. Eppure la Russia non ha fatto da allora che identificarsi con il maresciallo Kutuzov, debole e saggio strumento della mano di Dio che protegge il suo popolo, nelle guerre contro i turchi, i giapponesi, i prussiani, i nazisti, gli americani, trasformando le sconfitte e le tragedie in nuove testimonianze della superiorità dello spirito, che trascende la sete di vittoria e di vendetta, per aprire a un destino più grande. Ancora oggi la scena sembra ripetersi: dopo l’“atto terroristico del secolo” si sono radunati gli esperti militari russi, costretti da troppo tempo al digiuno, per descrivere scenari bellici e immaginare prospettive future, un po’ come in tutto il mondo del resto, tutti contro il Nemico Universale, un po’ Hitler e un po’ Bonaparte in salsa islamica, come agli inizi dell’800 e agli inizi del ‘900. La Russia sente di essere chiamata di nuovo a scrutare e guidare il futuro dell’umanità, prima che gli ingenui cowboy portino tutto alla rovina (l’incendio di Mosca del 1812 come il rogo di New York del 2001), e cerca il suo Kutuzov e il suo Tolstoj, tra Putin, Primakov e Solzhenicyn. Non si tratta solo di vincere una “lunga sporca guerra” contro il terrorismo islamico (che del resto è nato dal suicidio dell’anima del mondo civilizzato): si tratta di riscoprire il rapporto degli uomini, e dei popoli, con il loro destino eterno.
Ivan Martynov, nostro corrispondente da Mosca
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