Il tragico Helzapoppin’ dei jovanotti anti-G8

Di Da Rold Gianluigi
26 Luglio 2001
Dire che il movimento ha delle “frange estremiste” è come dire che la “coda del serpente” è la parte pericolosa. E l’annuncio Tv di Casarini? “Vi dichiariamo formalmente guerra”. Ci è morto un ragazzo. “Assassini!” A chi? Al carabiniere che doveva bruciare in una camionetta? Importa davvero la vita altrui? Franca Rame e Bertinotti sorridono in prima fila al corteo. Qualche giornalista flirta col suo fantasma di gioventù. Nel vuoto dell’astrattezza, la violenza è l’unica realtà. E poi c’è il cinismo di Jovanotti: la mattina fa la conferenza stampa rivoluzionaria, il pomeriggio è in albergo a bere Coca Cola (che gli fa tanto bene). E ai primi scontri, sgomma con la sua pattuglia di gorilla. Dal nostro inviato

Tutto come in un vecchio film demenziale. Il tragico è che sull’Helzapoppin’ di Genova, come al solito, i capi, sempre più vecchi, sempre più ciechi, poi ci ricavano briciole di potere e di ideologico furore. I giovani che li hanno seguiti solo il niente dell’odio che avanza. Ancora altra polvere sulle macerie. Tre notti indietro, a rivedermi il film della stupidità e dell’orrore. Eccoci in piazza a Genova. Quando il corteo di sabato 21 luglio prende il via da piazzale Boccadasse, Genova è inondata dal sole e il suo bellissimo centro storico è una deserto angoscioso. Sul viale che dalla Stazione di Brignole porta alla Fiera, davanti a via XX Settembre, in piazza Kennedy, a ridosso del Lungomare, ci sono migliaia di uomini della polizia e carabinieri, che aspettano lo scontato appuntamento con gli scontri. I manifestanti partono da Boccadasse alle 13 in punto, così entrano nell’“apertura” di tutti i telegiornali. Mica stupidi nella battaglia mediatica!

L’argenteria delle prime file e la coda del serpente

Le prime quindici file del corteo raccolgono tutto il “Gotha” del sinistrume degli ultimi quarant’anni di questo Paese. C’è un Fausto Bertinotti sorridente, nonostante un ragazzo sia morto negli scontri del giono prima; c’è la Franca Rame con gli orecchini di corallo, che già vede i Black Bloc che scendono dalle camionette dei carabinieri, “provocatori di Stato” come lo erano un tempo le “cosiddette brigate rosse” e come ancora prima lo erano stati i killer di Kirov per Stalin; c’è l’immancabile don Gallo; c’è persino l’ultimo pupillo di Zdanov del passato millennio, il sempreverde ingraiano Aldo Tortorella. Poi ci sono i nuovi leader: il Casarini veneziano, riedizione rustico periferica in salsa rap del vecchio Toni Negri, e il farfugliante Agnoletto, tipico medico della mutua che ha scoperto l’agopuntura per curare i reumatismi. Un pizzico di esotismo lo assicura il francese Josè Bovè, quello che chiuderebbe tutte le dogane del mondo per vendere il suo Roquefort. Le prime quindici file sono l’“argenteria” del gauchismo italiano, sembrano i superstiti del Collettivo politico metropolitano di Milano. Mancano solo Renato Curcio e Corrado Simioni. Nulla è cambiato sotto il cielo d’Italia. Ma in fondo al grande corteo, c’è il vero “nuovo che avanza”. Non ci sono solo i Black Bloc che fanno la danza della guerra, ci sono migliaia di giovani figli dell’ultima cultura della disperazione che sono già armati di spranghe, bastoni, cubetti di porfido, bottiglie molotov, come ai bei tempi del 1968. Mentre i maïtre à penser sfilano davanti, i Black Bloc, che in Francia sono definiti solo casseur, escono ed entrano ai fianchi del corteo, sfasciano e picchiano, lanciano pietre e molotov contro i primi drappelli della polizia. Sembrano i protagonisti di un videogame violento, sono i protagonisti simbolici di una contrapposizione simbolica tra globalizzazione e antiglobalizzazione. Nel vuoto pneumatico dell’astrattezza, la violenza è l’unica realtà che macchia l’asfalto di sangue, che provoca incendi, che fa urlare le sirene delle autoblindo della polizia e della autoambulanze che portano i soccorsi. È un autentico macello, una rissa selvaggia di violenza metropolitana. Dire che il corteo ha delle “frange estremiste” è come dire che la “coda del serpente” sia la parte pericolosa. Siamo ancora alle discussioni sulla differenza tra estremismo e terrorismo, come nel comitato centrale del Pci del novembre del 1979, quando Giorgio Amendola fu lasciato solo a denunciarne la contiguità. Mentre tutti sanno, tutti conoscono benissimo che qualsiasi movimento è composto da “anime belle” anche in buona fede, masse grigie che si muovono a seconda delle circostanze, ali più violente e anche più paradossalmente coraggiose rispetto agli obiettivi che tutto il movimento si è dato. Quale sia il confine tra parte pacifica e parte violenta del nuovo movimento è un esercizio complicatissimo. In effetti, è bastata la perquisizione nella notte tra sabato e domenica in alcuni locali del “Genoa social forum” per comprendere la difficoltà di stabilire i contorni dei pacifisti e dei violenti.

La fuga Jovanotti

Il desolante quadro genovese, resta quello di una città distrutta. Con un movimento, cosiddetto pacifista, irresponsabile e con le solite comprensioni da parte di una sinistra fuori dal mondo. In più, in questo luglio genovese, c’è stata anche qualche comprensione fuori luogo che ha il colore del porporato. Le considerazioni che si possono fare sono solo allarmanti. Genova era divisa in due, tra la piazza e il fortino della “zona rossa” dove si riunivano i cosiddetti “otto grandi”. L’ormai decennale non-politica degli “uomini del fortino” è una delle cause dell’esplosione della piazza globale. Ma al cinismo della non-politica non si può rispondere con un’altra violenza non-politica. Speculare a questa divisione, quella del mondo dell’informazione, con la commentatrice del Tg3 che sembra un ultrà da “curva sud” a favore degli antiglobalizzatori e con il direttore del Tg4 che pare ormai il vecchio portavoce del generale Bava Beccaris. In mezzo una massa di mestieranti che si barcamenano a seconda delle congiunture politiche. Poi c’è il grande cinismo sovrano. Alle 15 e 30 di sabato pomeriggio, il rapper Jovanotti era nella hall dello Starhotel con i suoi “gorilla”. Vestiva una sahariana kaki, beveva Coca Cola light (chissà che cosa ne pensa Naomi Klein, la nemica dei logo) e guardava gli scontri per le strade di Genova alla televisione. Alla mattina aveva tenuto conferenza stampa, con altri due menestrelli, accanto al movimento. Ma quando il movimento stava arrivando vicino all’albergo e si rischiava di restare isolati, i “gorilla” hanno lanciato l’allarme e sono partiti a spron battuto, con Jovanotti in testa, lontano da Genova. Scene comuni di un paese di tragiche farse, senza princìpi, senza anima, senza cuore, senza Dio, senza legge.

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