Che noia questi laici papalini

Di Tempi
11 Gennaio 2001
Com’è che questo nostro foglio, che certo non può nemmeno lontanamente paragonarsi al peso che hanno le corazzate del giornalismo italiano, si divide nel tifo tra repubblicani e democratici Usa e, mentre è nota ai lettori la sua sincera simpatia per il centro destra italiano, alle elezioni israeliane del prossimo 6 febbraio tiferà (in spe contra spem) per la sinistra del sionismo più laicista e pacifista?

Com’è che questo nostro foglio, che certo non può nemmeno lontanamente paragonarsi al peso che hanno le corazzate del giornalismo italiano – sempre neutrali e obbiettive come dice la teoria dell’informazione, poi però, in pratica, trattandosi di aziende con interessi padronali ad alta intensità economica e varia densità internazionale, sebbene con diverso stile sempre politicamente schierate – si divide nel tifo tra repubblicani e democratici Usa e, mentre è nota ai lettori la sua sincera simpatia per il centro destra italiano, alle elezioni israeliane del prossimo 6 febbraio tiferà (in spe contra spem) per la sinistra del sionismo più laicista e pacifista? Sull’America è chiaro, da qualunque parte la si guardi essa offre suggestioni di frontiera al nostro immaginario e lo spettacolo di una democrazia litigiosa ma più forte di ogni “cultura del piagnisteo”. La realtà politica a cui rinvia il confronto Bush-Gore è la stessa, non nel senso dei candidati ovviamente, ma nel senso dei supporter, tutti parte integrante, pur nella diversità di status, di etnia e cultura, di una comune ricerca di libertà che non cessa di rappresentare la vera ricchezza e lo slancio vitale degli Stati Uniti d’America. Uno spettacolo fin troppo pingue al cospetto dell’Europa e della dieta mediterranea impostaci dal suo modesto, anche se sudato, commissario Romano Prodi, forse uno dei responsbili (con il meno mite Bin Laden e il sempre meno dottor Sottile Amato che crede al tempo stesso di governare l’Italia e di essere disinformato praticamente su tutto) della chiusura dell’ambasciata Usa in Italia (visto che, dimenticandosi di essere il numero uno del governo Ue, il buon Romano è andato a Radio anch’io – mica in una sede diplomatica qualsiasi – a denunciare Usa e Nato sull’uranio impoverito). Inutile ripetere che il quadro politico italiano è grottesco anche in un’Europa a maggioranza socialdemocratica: se l’Ulivo non riesce a trovare nemmeno un amministratore di condominio da contrapporre al ragionier Albertini dove volete che vada con un ex sindaco di Roma travestito da carmelitano scalzo? In America e perfino in Israele un Papa può tranquillamente diventare la personalità più popolare (come è accaduto nel corso del viaggio del Pontefice a Gerusalemme e come hanno rilevato negli Usa i sondaggi di Capodanno) senza indurre troppe inutili discussioni sulla crisi della laicità. Nei media e nella politica italiana il Papa invece può diventare al tempo stesso sia l’oggetto di un corteggiamento infinito, sia lo spunto di un infintito chiacchiericcio che va da Porta Pia e, passando dalle pie anime dell’antifascismo, finisce puntualmente nella retorica editorialista dei soliti vecchi numi tutelari della patria. Quasi ovunque nel mondo la laicità non è tema di prediche e di elzeviri, ma è frequentazione pratica di ragioni e azione politica. Qui in Italia la laicità è invece diventata una religione, meglio, un mito amministrato da sacerdoti tanto bigotti che al cospetto delle loro prediche Civiltà Cattolica è Playboy.

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