A proposito dei suicidi di Ischia

Di Contri B. Giacomo
30 Giugno 1999
Simplicissimus

La moralità dipende dal chiamare le cose col loro nome: così la pietà stana la pietà falsa. Domanda: Il suicida perché lo fa? e rispondo: Perché ce l’ha con qualcuno: se non con tutti – usa dire “Ce l’ho con tutti” – che neppure conosce, universo. La cronaca ci informa delle due liceali suicide a Ischia: per bocciatura e correlata “disperazione”, dicono. Ma no. Leggo il falso nelle due lettere lasciate per i genitori. L’una: “Scusatemi: vi ho dato un altro dispiacere scolastico, ma non voglio darvene più”, e per non dargliene più ha scagliato un macigno peggio di quelli del cavalcavia. L’altra: “Vi voglio bene e spero con questo di non rovinarvi la vita”, proprio un momento prima di rovinargliela. In breve: un mio grande maestro di moralità e scienza ha scritto che il suicidio è un omicidio (come quello dei Maso) ma per procura, autoconferita alla propria persona. Il bersaglio è un altro con sacrificio proprio. Ma c’è sacrificio e sacrificio, uno gradito, uno non gradito: distinzione fatta da Cristo rilanciando termini della precedente Alleanza, e rifatta da S. Paolo nella critica di un certo “dare il proprio corpo alle fiamme”. E il nostro secolo ha visto molti “martiri” rivoluzionari, a destra e sinistra, sacrificali di sé prima, omicidi poi.

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