Dio salvi Queen Elisabeth, madre della patria

Di Newbury Richard
19 Luglio 2000
Il 4 agosto prossimo taglierà il traguardo del secolo di vita. Si chiama Elisabetta Bowes Lyon, ma gli inglesi l'hanno soprannominata affettuosamente "Regina Madre". Senza mai avere propriamente il titolo di sovrana, (solo moglie del Re) è stata a lungo protagonista della vita (non solo) politica del suo paese, che ha seguito con pugno di ferro e guanto di velluto. In attesa dei prossimi festeggiamenti, Tempi pubblica una breve biografia non autorizzata della donna elegante e gagliarda più amata dal popolo britannico

La prima guerra mondiale ha segnato la scomparsa degli Austro-ungarici, della Germania e dell’Impero Ottomano. Ha visto anche la fine della riserva di sangue tedesco dal quale la Famiglia Reale anglo-tedesca cercava di rinnovarsi (era stato un po’ imbarazzante che il Comandante in capo della Marina Reale Britannica incaricato nel 1914 di dare l’ordine: “Si aprano le ostilità contro la Germania” fosse il Principe Luigi di Battenberg, lo zio del Principe Filippo e il padre di Lord Louis Mountbatten, Comandante Alleato nell’Estremo Oriente durante la II guerra mondiale e ultimo Viceré d’India, nonché “nonno onorario” del Principe Carlo). Nel 1917 lo scrittore H. G. Wells si lamentava che Re Giorgio V fosse “uno straniero incapace di ispirare sentimenti patrii”. “Può darsi che io non sia un trascinatore, ma sono perduto se sono uno straniero” gli aveva replicato Giorgio Saxe-Coburg-Gotha. Ad ogni modo egli cambiò il nome di famiglia in Windsor, il loro castello più importante, quello dei genitori della moglie. Un decreto governativo imponeva che da allora in avanti i suoi eredi maschi avrebbero potuto sposare anche comuni cittadini. Non riuscì però a informare suo figlio maggiore di questo cambiamento, che avrebbe invece permesso al secondogenito Principe Alberto (poi Giorgio VI) di sposare Elisabetta Bowes Lyon.

Il Principe Alberto. Gioventù (poco) regale di un timido libero muratore Il principe Alberto si chiamava così perché era nato il Giorno del Mausoleo 1894, l’anniversario del patologicamente compianto Alberto, il marito della Regina Vittoria. Attraverso la “nonna d’Europa” il giovane Alberto era imparentato con l’Imperatore di Germania, lo zar di Russia e il Re di Spagna, Portogallo, Belgio, Bulgaria e Romania, mentre dalla parte della nonna Regina Alessandra coi Re di Grecia e Danimarca. Quattordici dei suoi sedici bisnonni erano tedeschi. Da sua nonna Regina Alessandra il Principe Alberto ereditò la bella presenza, mentre dal padre prese il famoso spleen degli Hannover, trasmesso al pronipote Principe Carlo. Il futuro marito della Regina Madre, venne cresciuto in una modesta villa nella riserva reale di caccia a Sandringham ed educato modestamente a casa. Una balia sadica lo aveva nutrito così malamente che rimase sofferente di un’ulcera cronica allo stomaco; la stessa balia gli assestava dolorosi pizzicotti prima di presentarlo a suo padre, assai irascibile, così che questo, vedendolo in lacrime, immediatamente tuonava: “Portate questo bambino che strilla fuori di qui!”. Nato mancino, lo costrinsero a scrivere con la mano destra e questo gli causò una forte balbuzie. “Sputa il rospo!” gridava suo padre davanti ai suoi farfugliamenti. Reagì con una tristezza silenziosa e diventando disubbidiente. La sua pronuncia rimase terribile e non imparò mai la matematica, neppure quella elementare, il che significò per lui l’umiliazione di essere l’ultimo della classe prima al Collegio Navale Osborne, che iniziò a frequentare all’età di 13 anni, e poi a quello di Dartmouth, a cui passò a 16 anni. Riuscì a superare le botte e le angherie e passò alla Marina, ma un’appendicite e le ulcere gastriche, diagnosticate in ritardo, posero fine alla sua carriera da effettivo, sebbene fu molto orgoglioso di essere riuscito a combattere la battaglia decisiva dello Jutland nel 1916. Riuscì poi a vincere la sua paura di volare per diventare pilota nella Raf. Nel 1919 Alberto fu iniziato a quella che fu una delle principali passioni della sua vita, la massoneria, e fece parte della Loggia della Marina n. 2612. Dal 1717 ogni monarca inglese, con l’eccezione della Regina Vittoria e di Giorgio V, era stato massone, e lo zio di Alberto, il Principe Arturo, Duca di Connaught, era Gran Maestro – ne sarebbe stato il successore nel 1938, se non fosse già diventato Re. Lui nominò 3 Gran Maestri, incluso suo fratello Principe Giorgio, Duca di Kent. Nel 1946 fece stampare due francobolli con le insegne massoniche per commemorare la vittoria alleata contro il nazismo che aveva soppresso la Massoneria. Roosevelt e Eisenhover erano naturalmente “fratelli” muratori).

Il Capomastro della famiglia reale Nel 1920, dopo una sessione a Cambridge a studiare Legge costituzionale, suo fratello lo nominò Duca di York. Da allora, come suo nipote Carlo, prese ad occuparsi di industrie come Ispettore d’azienda, di formazione dei giovani e di coesione sociale – organizzava dal 1921 i campi annuali del Duca di York, che mescolavano idealisticamente le classi con 200 apprendisti e 200 ragazzi dei collegi privati, tra i quali per la cronaca c’erano mio padre e Dennis Thatcher.

Dopo una guerra mondiale che aveva visto la scomparsa di molti esponenti della monarchia Windsor, “la monarchia e i suoi costi – avvertì Lord Esher, eminenza grigia reale – dovranno essere giustificati agli occhi di un proletariato consumato dalla guerra e affamato, nonché detentore della larga maggioranza del potere di voto”. Eduardo VII aveva sempre parlato del futuro Giorgio V come dell'”ultimo re inglese”. Come Re Giorgio VI, Alberto si sarebbe riferito alla monarchia come all'”azienda di famiglia”, un’espressione che ancora oggi viene utilizzata dalla figlia. La famiglia lo chiamava “il Capomastro”. L’idea rivoluzionaria che anche il secondo candidato al trono sposasse una persona comune piuttosto che una principessa tedesca, una ex-nemica che sarebbe stata spedita oltremanica, fu una risposta a questa nuova realtà.

Ma Elisabetta Bowes Lyon, figlia del 14° Conte di Strathmore e Kinghorn, era una persona comune esclusivamente in un senso strettamente tecnico: solo il padre, coi suoi molti titoli in Scozia e Inghilterra, era nobile.

Lord Glamis. Ritratto di un’antica casata scozzese Il loro imponente castello scozzese di Glamis, col suo fantasma e il suo mostro, è l’edificio abitato più antico del paese, appartenuto alla famiglia dal 1370, e naturalmente compare nel “Macbeth” di Shakespeare. Inoltre Elisabetta aveva in comune con Alberto un antenato, Re Roberto di Scozia, fondatore della dinastia degli Stuart. Esisteva una Lady Glamis bruciata come strega nel XV secolo e la famiglia aveva appoggiato i pretendenti al trono Stuart contro gli Hannover. La famiglia Bowes-Lyon possedeva un altro castello, Streatlam, nel Nord-Est dell’Inghilterra, dove era proprietaria anche di miniere di carbone, di una tenuta di campagna degli inizi del XVIII secolo, St. Paul’s Walden Bury, poco distante da Londra, e di una casa a Bruton Street, nel Mayfair. Erano persone ricche, ma non frequentavano i salotti e il Circolo Reale. In effetti gli interessi di Lord Strathmore erano la caccia, il cricket e piantare boschi, attività nelle quali era così impegnato che prese una multa per essersi dimenticato di registrare la nascita del suo nono figlio, Elisabetta, per sei settimane. Lady Strathmore, una nipote del Duca di Portland, era la figlia del reverendo Charles Cavendish-Bentinck. La nonna di Elisabetta Luisa possedeva anche un palazzo rinascimentale a Firenze, Villa Capponi, una casa a Bordighera e un appartamento a Roma, dove naturalmente trascorreva le ferie. Un cugino da dimenticare era invece Anthony Blunt, la spia russa che aveva reclutato Burgess e Maclean, e che diventò Sorvegliante dei quadri della Regina. Come Alberto che aveva un fratello ritardato, John, anche Elisabetta aveva due nipoti con lo stesso problema.

Elisabetta. “Fortunato chi l’avrà al suo fianco”
Però al contrario di Alberto lei aveva trascorso un’infanzia felice e spensierata. Sua madre le insegnò a leggere e poi da una serie di istitutrici imparò la lingua francese e tedesca. La prima guerra mondiale scoppiò quando lei aveva 14 anni e Glamis fu trasformato in un ospedale, con Elisabetta come infermiera. Uno dei suoi fratelli venne ucciso e un altro ferito gravemente. Elisabetta non perdonò e non dimenticò mai nulla, così come non abbandonò mai i suoi forti sentimenti patriottici e antigermanici. Tutti erano innamorati di lei che dotata di soldi, proprietà e di un titolo avrebbe potuto sposare chiunque. Sposarsi con un membro della Famiglia Reale avrebbe però significato perdere la sua libertà e sposare la nazione. Questo è il motivo per cui quando il timido e balbuziente Principe Alberto si dichiarò nella primavera del 1921, Elisabetta lo respinse. Tuttavia, come accadrà a sua figlia 20 anni più tardi, lui si innamorò una volta e per sempre. La madre di Elisabetta notò che la figlia “era davvero molto preoccupata. Penso fosse tormentata tra il desiderio di rendere felice Alberto e la riluttanza ad assumersi le responsabilità che un simile matrimonio doveva portare”. Anche Lady Strathmore credeva che Alberto “è un uomo che o sarà felice o sarà rovinato a causa del matrimonio”. Infine, dopo due anni di assedio, Elisabetta lo accettò e, come suo padre, Alberto sposò una donna più intelligente di lui, che poteva dirigere i suoi passi e aiutarlo negli affari di governo. “Sarai un uomo assai fortunato se lei sarà al tuo fianco” fu il commento del padre, anche lui vittima del fascino di Elisabetta. Le nozze del secondo candidato al trono si svolsero nell’Abbazia di Westminster nel 1923 e la vita dei nuovi Duchi di York, e delle loro due figlie, Elisabetta e Margherita Rosa, fu più aristocratica che reale, anche per la cronica timidezza e la balbuzie di Alberto, che la Duchessa si apprestava a curare.

L’annus horribilis del trono britannico Se il 1918 era stato un anno decisivo per le monarchie continentali, il 1936 – l’anno dei tre re – lo fu per il trono britannico ma la minaccia non arrivava dalla Russia, bensì dall’America. Diversamente da Giorgio V, rigidamente tradizionalista, che morì nel 1936 e di cui Elisabetta disse “A differenza dei suoi figli, non ho mai avuto timore di lui”, il suo figlio maggiore, che diventò Eduardo VIII, amava i week-end, il jazz, le donne che fumavano, le donne più vecchie sposate e tutto quanto apparteneva al modello americano. Questo modello monarchico modernista – in parte preso da Hollywood, in parte da Hitler – di Eduardo VIII e Lady Simpson, che si avvicinava sia a quello presidenziale americano che a quello incostituzionale fascista, fu allontanato dal Parlamento, come era accaduto ai tempi di Giacomo II e la Gloriosa Rivoluzione del 1688, che aveva stabilito la sovranità del Parlamento quando l’ultimo Re Stuart, un Cattolico convertito, aveva tentato di introdurre l’Assolutismo del cugino Luigi XIV.

“Se mai c’è stato in qualcuno un diritto mistico, questo era manifestamente presente in Giacomo II”, scrisse Walter Bagehot nella sua “Costituzione inglese” del 1867. Lo storico moderno della costituzione Ben Pimlott evidenzia che “in pratica c’era stata una crescita di affetto e di devozione che aveva fatto dimenticare le oscure origini della dinastia regnante. Di conseguenza, il diritto e la legittimità tradizionali avevano sostituito quelli divini e un grande carattere sacro aveva affezionato a leggi di successione inviolate da più di 200 anni. L’Abdicazione aveva trapassato tutto questo come un coltello – riportando la monarchia indietro nel tempo fino al 1688, quando il Parlamento aveva privato un re del suo trono sulla base della sua inadeguatezza a sedervi”.

Una regina per rilanciare l'”Azienda di famiglia”
Da questo momento in poi la monarchia era chiaramente priva di indipendenza politica. Era sottoposta ad approvazione e doveva dimostrare il suo valore dedicandosi a quel dovere che a Eduardo VIII era sembrato così secondario. Bisognava evitare le innovazioni, mentre si cercava la sicurezza, attraverso la replica re-inventata di quelle che erano istituzioni, così che tutti potessero fingere che le gonne vittoriane non erano state leggermente accorciate. L’abdicazione ebbe lo stesso effetto del Darwinismo sul cristianesimo. E fu compito di Elisabetta aiutare il marito, che si sentiva inadeguato all’impresa, a ricreare la monarchia come uno dei valori e dei doveri di casa. Come aveva detto Bagehot nel 1867 “una famiglia sul trono porta l’orgoglio della sovranità fino al livello della vita comune”.

Ma Alberto, ora divenuto Re Giorgio VI, si lamentava col fratello: “Sono completamente impreparato a farlo. David (Eduardo VIII) era stato preparato fin dalla nascita a diventare sovrano. Io non ho mai visto nemmeno un documento di stato. Sono solo un ufficiale della Marina. E’ la sola cosa che so fare”. E col re che aveva abdicato protestava “Come puoi pensare che io desideri assumermi la responsabilità di un trono che sta andando a rotoli e riesca a renderlo saldo”. Il 12 maggio 1937, la data dell’incoronazione di Eduardo VIII venne mantenuta; solo il Re era diverso. L’editore del Labour New Statesman riassunse la reazione popolare. “Preferiremmo ancora acclamare Eduardo, ma sappiamo che dobbiamo invece acclamare Giorgio. Dopo tutto se Eduardo non è sul trono è solo colpa sua e Giorgio non ha chiesto di salirci. Sta facendo soltanto il suo dovere e dipende solo da noi fargli vedere che lo apprezziamo”.

Laddove Eduardo VIII era stato troppo pericolosamente radicale, Elisabetta ha fatto diventare la famiglia reale fin troppo ostile ai cambiamenti anche perché lei aveva il “tocco comune” e capiva gli istinti della gente comune.

Queen Elisabeth, carnale, democratica, per nulla intellettuale Divideva il suo amore per la cultura del popolo con un drink e una puntatina ai cavalli. Nonostante fosse assai più intelligente del suo diligente marito non era affatto un’intellettuale – anche in questo caso un tocco di filisteismo inglese. I suoi figli vennero educati con la più pregevole collezione di quadri del mondo alle loro spalle, e quando il Poeta Laureato Thomas S. Eliot giunse in visita a Windsor Elisabetta così rievocò il fatto: “In una sala avevamo fatto accomodare quest’uomo piuttosto lugubre, e ci lesse un poema – credo si chiamasse “Il deserto” (effettivamente “La terra desolata”) – e prima venne la ridarella alle bambine, poi a me e infine anche al Re. Un uomo così triste! Sembrava che lavorasse in una banca e noi non capivamo una sola parola”. Elisabetta, che sapeva coltivare bene l’odio, non perdonò mai “Quella Donna”, Lady Simpson, per aver portato al trono suo marito così timido e malato e accusò lei per la sua morte prematura. L’anoressica Duchessa di Windsor restituì il complimento congedando Elisabetta, carina e rotondetta, come “Biscotto”, un dolce tipico. Ma mentre la Simpson appariva sempre alla moda ma non regale, Elisabetta era l’opposto, aiutata dal marito che davvero se ne intendeva di vestiti.

Pugno di ferro e guanto di velluto Come la regina Maria con Giorgio V, Elisabetta ogni giorno esaminava a fondo tutte le scatole di documenti di stato che il Re doveva leggere come Capo dello Stato, Imperatore dell’India e Capo di Stato del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda e del Sud Africa, oltre a partecipare agli incontri col Primo Ministro. Durante la guerra fu discreta e cordiale sebbene fosse a conoscenza della situazione spesso drammatica e pericolosa. Fece delle visite nelle zone bombardate una questione essenziale e attribuì grande importanza all’adesione scrupolosa ai razionamenti, come Eleanor Roosevelt dovette accorgersi a sue spese quando visitò un freddo Buckingham Palace privo di vetri, alloggiando nela camera della Regina. Cresciuta in un freddo castello scozzese la Regina Madre era impenetrabile al gelo e non amava nulla di più che camminare per la tundra scozzese sotto la pioggia torrenziale o stare immersa nel fiume Dee pescando salmoni.

Era inattaccabile alle malattie, una omeopata e credeva che “il vento porta via i germi”. La casa che si scelse dopo la morte del marito è il castello medievale di Mey sulla costa più esposta a Nord della Scozia.

Durante la terribile invasione del 1940 quando Buckingham Palace ospitava le teste coronate dei monarchi europei cacciati dal continente da Hitler, Elisabetta prese lezioni di tiro con la pistola, determinata a resistere combattendo. “Sì, io non crollerò come gli altri”. Quando nel giugno del 1940 fu ventilata l’idea di allontanare le Principesse reali oltreatlantico, nel loro Dominion del Canada, non tollerò neppure l’idea. “Le Principesse non potrebbero mai partire senza di me, io non potrei partire senza il Re, e il Re non potrebbe mai partire”. Effettivamente quando una bomba colpì Buckingham Palace mancandoli di 25 metri – probabilmente venne deliberatamente sganciata da un parente tedesco che conosceva la piantina dell’edificio, Elisabetta dichiarò: “Sono contenta che ci abbiano bombardato. Adesso possiamo guardare in faccia l’Est End”. Il quartiere della classe operaia, l’East End, nell’area portuale, era stato devastato dalle bombe tedesche e tutte le stoviglie, i mobili e i vestiti di scorta vennero portati lì da Buckingham Palace.

La forza immutata di un sorriso irrefutabile Il Re e la Regina diedero l’esempio di come persone come loro di limitate abilità potessero fare la differenza, se compivano il proprio dovere. Era qualcosa che Eduardo VIII, allora Duca di Windsor, impegnato a fare intrighi con Hitler, e la moglie, che era stata una spia del Fascismo dal 1922 e aveva tradito il marito con l’Ambasciatore Tedesco – più tardi Ministro degli Esteri – Ribbentrop, mostrarono di non essere in grado di fare. La tensione e il logorio di essere un Re nonché un Capo di Stato conosciuto ovunque durante tutte le vicissitudini della guerra ebbero un duro effetto sul Re, fumatore accanito, che morì a seguito di una trombosi e di un cancro alla giovane età di 56 anni, nel 1952. La sua vedova che aveva effettivamente esercitato il potere, con il pugno di ferro sotto il guanto di velluto, ora trovo emozionalmente difficile traslocare da Buckingham Palace per essere sostituita dalla figlia, anche se Elisabetta II rimase stretta intorno alla madre che sembra abbia ereditato la longevità della famiglia materna. L’altra faccia del sorriso grazioso della “Regina Madre”, che impone la migliore disposizione d’animo al suo intorno, è che lei crede che tutte le difficoltà e le cose spiacevoli scompaiano se vengono ignorate, un atteggiamento che riguardo ai matrimoni delle sorelle e dei figli non si è rivelato efficace. Tutto ciò ad ogni modo rivela solo quale influenza eserciti ancora la Regina Madre con un sorriso eterno e irrefutabile. Il 4 agosto Sua Maestà celebrerà il suo 100° compleanno e quindi detterà i requisiti per il telegramma ufficiale della figlia.

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