50 anni di ortodossia

Di Elena Inversetti
08 Marzo 2007
Cesare Cavalleri racconta la sua “Studi cattolici”, battagliera rivista d’élite pronta al confronto «non nel nome del dialogo, ma nel nome dell’identità». «Siamo cristiani, né buoni né cretini»
Cesare Cavalleri
Cesare Cavalleri (foto da Facebook)

«Se davvero volete aiutarmi, vogliate passare i vostri consigli agli editori concorrenti». Questo scanzonato avvertimento, appeso un po’ defilato sulla parete di uno studio colmo di libri, è in perfetta sintonia con la bonaria accoglienza che Cesare Cavalleri riserva a chiunque lo vada a trovare. Da più di 40 anni impegnato nel dibattito culturale italiano, è stato insignito del Premio internazionale della cultura cattolica nel 2004, è direttore della casa editrice Ares e del mensile Studi cattolici che quest’anno compie 50 anni. Si dice che Studi cattolici sia l’organo ufficioso dell’Opus Dei. «Io sono dell’Opus Dei, la rivista non è dell’Opus Dei». Cavalleri, classe 1936, che è alla guida di Studi cattolici dal 1965, tiene molto a ribadire che «la rivista, come c’è scritto nel colophon, non sposa le opinioni dei singoli autori. Con noi collaborano anche persone non cattoliche. Il discrimine sono l’intelligenza e la lotta alla noia. Sono disposto a sopportare anche le cose cattive, ma non le cose noiose. È un criterio che ha premiato la rivista con un’attenzione sempre viva da parte dei lettori».

Direttore, quanti sono questi lettori?

Nel nostro campo siamo fra i più diffusi, ma non rivelerò quanto vendiamo.

Perché?

Tutti gonfiano le cifre. Non voglio dire bugie ma non voglio nemmeno svelare il numero delle nostre copie. Subito ci direbbero che sono poche. Poche ma vere, rispondo io.

Una cosa che però non può nascondere è la vostra linea editoriale.

Certo, come recita la testata, siamo cattolici. E in quanto tali siamo sempre stati dalla parte del magistero della Chiesa, senza seguire le voci della contestazione. Siamo nati negli anni dopo il Concilio, durante i quali abbiamo sempre cercato di tenere dritta la barra dell’ortodossia, cioè la fedeltà al magistero, quello del Concilio e dei grandi papi che si sono succeduti da Giovanni XXIII in poi. Siamo nati sotto Pio XII e il primo numero di Studi cattolici è stato salutato in prima pagina dall’Osservatore Romano con un articolo del cardinale Alfredo Ottaviani, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Essere fedeli all’ortodossia vuol dire saper distinguere che cosa è opinabile da che cosa è dogmatico. I dogmi sono pochi e sono gli articoli del Credo, tutto il resto è suscettibile di discussione. Di questo si sono avuti echi sulle pagine della nostra rivista con il confronto di voci diverse. Primaria è sempre stata l’attenzione ai problemi del laicato, tanto che il sottotitolo dei primi numeri, quando Studi cattolici era bimestrale, recitava così: Rivista di teologia pratica. Poi, dal ’65, è diventata una rivista culturale, aperta a letteratura, storia, musica, arte, cinema, animata dalla volontà di offrire mensilmente una griglia interpretativa dell’attualità. Abbiamo voluto dunque partecipare all’evoluzione della vita della Chiesa senza ambizioni profetiche, ma piuttosto guidati dal desiderio di accompagnare il cammino nella fedeltà al magistero per aiutare a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso.

Vi si riconosce una linea elegante anche negli affondi critici più brucianti.

L’ironia e la polemica sono efficaci strumenti espressivi. Sono contrario al buonismo, perché il fatto che ci sia il pluralismo non significa che tutte le opinioni siano uguali. Se un’opinione è cretina bisogna dire che è cretina! Studi cattolici è una rivista di alta divulgazione che vuole essere un raccordo tra le sedi di produzione del sapere e quel più vasto ambiente di cosiddetti leader di opinione, che favoriscono la circolazione delle idee. Per questo alterniamo articoli impegnati a interviste più “godibili” rivolte a personaggi dello spettacolo. Sempre con uno stile accessibile a un pubblico di cultura medio-alta, insegnanti, professionisti, studenti universitari, sacerdoti, ma soprattutto gente curiosa.

Vi è stata talvolta rimproverata una certa incapacità di “dialogo”.

Sì, come quando affrontammo il problema dello scalfarismo, l’ideologia che il direttore di Repubblica propaga sulla stampa italiana. Ma il problema non è il dialogo, ma l’identità. Se manca l’identità non ci può essere dialogo. Una delle cose più balorde che avvengono è che i cristiani spesso parlano con cognizione di causa delle idee altrui perché hanno letto e si sono informati, mentre non succede il contrario. C’è un’ignoranza molto diffusa di teologia, e così poi nascono fenomeni assurdi come il libro di Augias, Inchiesta su Gesù. Ci sono state anche due occasioni “storiche” in cui siamo scesi in campo senza mezzi termini. In occasione dei referendum sull’aborto e sul divorzio, per difendere due temi di fondamentale importanza: vita e famiglia.

Nel marzo dell’anno scorso subiste degli attacchi per una vostra vignetta ritenuta offensiva dagli islamici.

Fu frutto di un semplice fraintendimento. Chiarimmo subito che quella vignetta non era antislamica, bensì antioccidentale. In quell’occasione Magdi Allam ci difese sulle pagine del Corriere della Sera.

Perché oggi un giovane dovrebbe impegnarsi nella lettura di Studi cattolici?

Per migliorare la qualità della sua vita, perché oggi siamo bombardati da informazioni di ogni tipo, ma lo scotto da pagare per questa overdose informativa è il fatto che poi mancano i criteri per distinguere il vero dal falso. È perciò necessario avere uno strumento in grado di dare le giuste chiavi interpretative anche a quello che magari già si conosce. Basta pensare che per un servizio di tre minuti in tv sono necessarie meno di 40 righe. È quindi equiparabile al titolo e al sommario dei quotidiani. La carta stampata per gli approfondimenti è ancora necessaria.

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