Dobbiamo convincere gli stranieri a investire nel nostro paese. Come? Al di là delle esortazioni, sul Foglio di oggi, Pasquale Siciliani, giuslavorista, sottolinea le difficoltà di chi media fra imprese estere e leggi italiane: «Il dato di fatto è che la nostra disciplina spaventa e scoraggia l’investitore straniero invece di attrarlo».
ARTICOLO 18. Dal racconto di Siciliani emerge un’Italia tutt’altro che allettante per le aziende straniere. Cosa succede, per esempio, quando un manager delle risorse umane straniero chiama un giuslavorista italiano per avere informazioni sull’articolo 18? Il giuslavorista deve fare uno sforzo non indifferente per fargli capire la normativa italiana: «C’è il caso A se il licenziamento è discriminatorio, il caso B se il licenziamento è disciplinare e il caso C se il licenziamento è per motivi economici». Tuttavia «il caso C potrebbe celare il caso A o il caso B quindi li dobbiamo considerare tutti e tre». E «in realtà ci sarebbe anche il caso D qualora non venisse rispettata la procedura». «Quale procedura?», chiede il manager. Il giuslavorista deve spiegargli la complicata procedura di conciliazione. E cosa succede se un dipendente lavora male? Niente di più complesso di licenziarlo per sostituirlo con uno più bravo, gli spiega il giuslavorista: «Dovremo fare una dettagliatissima contestazione disciplinare comparando le prestazioni del dipendente con quelle di altri di pari livello, dimostrare che il rendimento è inaccettabile, che non è colpa della crisi, seguire la procedura disciplinare e via dicendo».
COSTI FISSI. «Sarebbe tuttavia riduttivo e ingenuo semplificare i problemi del mercato del lavoro con l’art. 18», prosegue Siciliani. Ulteriori problemi sono anche i costi fissi. Quali? «Il preavviso, le ferie, i permessi, le ferie sul preavviso, i ratei di 13ma e 14ma, il contributo Aspi, il Tfr normale e quello sul preavviso». «Le perplessità aumentano quando il cliente vuole attuare una ristrutturazione aziendale e si parla di procedura di licenziamento collettivo, del sistema di relazioni industriali, degli ammortizzatori sociali e dei rischi e costi connessi».
Questa, spiega Siciliani, è una situazione tipica nel nostro lavoro che però è lo specchio delle difficoltà che una multinazionale può incontrare nella gestione dei rapporti di lavoro nel nostro paese. Oltre al fatto che «licenziare in Italia è molto difficile, costoso e ha tempi eccessivamente lunghi», c’è anche «poca flessibilità e soprattutto incertezza del diritto». «La rigidità dei contratti a termine, l’eccessivo costo del lavoro, l’aleatorietà del lavoro parasubordinato e autonomo sono temi che destano puntualmente il disappunto (ma a volte anche lo sconcerto) dei clienti stranieri.
RIFORMARE LE REGOLE. Ridurre i tempi tra un contratto a termine e un altro o introdurre farraginose agevolazioni alle assunzioni non sono in grado di migliorare il lavoro e la produttività. «Per essere competitivi bisogna vagliare riforme che semplifichino le regole e che ci avvicinino maggiormente agli stati europei». Siciliani conclude con qualche suggerimento: «cancellare gran parte della riforma Fornero, elevare il numero dei dipendenti per l’applicazione dell’art. 18, alzare la soglia dei licenziamenti che determinano l’applicazione della procedura di mobilità, commisurare il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo all’anzianità di servizio, eliminare la causale da tutti i contratti a termine, semplificare le agevolazioni alle assunzioni, ridurre (veramente) il cuneo fiscale».