Oggi sulla prima pagina del Messaggero, l’economista Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano, ha scritto un editoriale sul referendum sulle scuole paritarie che si terrà a Bologna il 26 maggio.
Il professore svolge un lungo e articolato ragionamento sul concetto di “beni comuni”, in particolare facendo riferimento all’istruzione. Essa, storicamente, è stata prima esercitata in forme private dalle classi aristocratiche e borghesi, poi via via essa ha assunto una forma statuale, in particolare modo sotto la regia del “governo municipale”. Così, scrive Sapelli, sebbene non manchino mai dei problemi, tuttavia si sono raggiunti «risultati sociali di eccellenza, non solo di sottrazione dalla povertà educativa in tutto il mondo», ma anche di grande prestigio e questo anche in Italia.
SI PUO’ SCEGLIERE. «La crisi fiscale dello Stato – prosegue Sapelli – ha recentemente, ossia nell’ultimo ventennio, favorito il riemergere di forme di educazione tipiche della mano privata o della versione di essa in forme di proprietà collettiva di piccoli gruppi, come le cooperative educative». Tali forme hanno trovato spazio anche nel Belpaese dove, «soprattutto per effetto della crisi fiscelle dello Stato e dei Comuni, ha trovato un’efficace soluzione nell’integrazione dell’educazione municipale con quella privata a ispirazione cooperativa o mutualistica. Nella maggioranza dei casi essa ha, come accade in tutto il mondo, una ispirazione religiosa, in forma chiara ed esplicita. Si può scegliere. Il fatto che lo Stato o i Comuni finanzino tali forme di proprietà delle strutture educative non lede il principio dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge». Anzi, scrive Sapelli, «ne esalta il principio detraendo dal loro carico fiscale imposto in forma coatta la parte di tassazione che finanza l’educazione pubblica di cui quelle famiglie o quelle società educative non usufruiscono».
CIO’ CHE E’ DOVUTO. Quindi, conclude il professore, «stupisce» il referendum di Bologna che «vuol porre in discussione, nelle terre del cooperativismo e quindi della sussidiarietà più nobile, istruzione comunale e istruzione privata e cooperativa, negando quest’ultima, sottraendole le risorse di cui vive. Queste risorse sono ciò che è dovuto a forme educative non statali che adempiono fini pubblici, nel pieno rispetto del dettato costituzionale e della teoria dei “beni comuni” di cui molti parlano senza conoscerla».
Conclude Sapelli: «Non pensavo che il degrado culturale e della disinformazione fossero giunti a tanto, non solo nelle fertili terre emiliane, ma in tutta Italia.