«Basta, abbandono il giornalismo. In Francia è diventato troppo difficile esprimere le proprie opinioni». Ha lasciato tutti spiazzati l’annuncio di Kamel Daoud (foto in basso), scrittore algerino e fresco vincitore (11 febbraio) in Francia del premio Jean-Luc Lagardère come miglior giornalista dell’anno. Editorialista di Le Point, cura una rubrica per il secondo quotidiano più importante d’Algeria, Quotidien d’Oran, e collabora con New York Times, Le Monde e La Repubblica.
DOPO COLONIA. Perché uno scrittore all’apice della carriera – nel 2014 è arrivato in finale al Prix Goncourt con il romanzo Il caso Meursault – dovrebbe abbandonare il giornalismo? Intervistato ieri dal Corriere della Sera, Daoud si dice sfinito dalle polemiche suscitate da due suoi articoli, apparsi pochi giorni fa su Le Monde e New York Times, nei quali denuncia «la miseria sessuale nel mondo arabo» a partire dai preoccupanti fatti di Colonia.
ISLAM E DONNA. Negli articoli ha denunciato come le donne, «in molti posti del mondo arabo», siano «velate, lapidate e uccise. Come minimo accusate di seminare discordia in una società ideale» a riprova che «il mondo musulmano più in generale ha una relazione malata con le donne». Queste infatti sono «definite da relazioni di proprietà, come mogli di X o figlie di Y» e il modo in cui vengono occultate nasconde una specie di «isteria», di «inquisizione». Attorno al corpo delle donne, insomma, c’è una vera e propria «ossessione». E questo fa sì che, paradossalmente, «il sesso sia ovunque». Daoud arriva a parlare di «porno-islamismo» e di «fatwa grottesche».
«NON BASTA ACCOGLIERE». E per quanto riguarda la promessa di un Paradiso pieno di vergini per chi si fa saltare in aria in nome di Allah, «i kamikaze si arrendono a una logica surreale e terrificante: la via all’orgasmo passa dalla morte, non dall’amore». Ed ora che, come dimostra la notte di San Silvestro a Colonia, «questa relazione patologica che parte del mondo arabo ha con le donne è esplosa sulla scena europea», noi «non possiamo solo offrire asilo ai corpi [dei migranti] ma dobbiamo anche convincere le anime a cambiare. Non basta accogliere, consegnare documenti o una casa per cavarsela». Questo non significa che «i rifugiati siano tutti dei “selvaggi” (…) riducibili a una minoranza delinquente», questa minoranza però «ci pone il problema dei “valori” da condividere, da imporre, da difendere e da far capire. Questo ci pone il problema della responsabilità che dobbiamo assumerci dopo l’accoglienza».
«ISLAMOFOBO». Per questo articolo lo scrittore algerino è stato accusato sul Le Monde da 19 intellettuali di «riciclare i cliché orientalisti più usurati» per fare «banali discorsi razzisti». A Daoud è stato fatto innanzitutto notare, e non a torto, che anche l’Occidente ha i suoi bei problemi con il corpo della donna, sempre più svilito, commercializzato e ridotto a oggetto. Poi però è stato accusato di «sposare l’islamofobia divenuta ormai maggioritaria nel contesto europeo». Dopo questa invettiva, il miglior giornalista dell’anno in Francia ha deciso di ritirarsi dalla professione.
«ISLAMISTI MI LANCIANO FATWA». Prima di andarsene, però, ha sottolineato le preoccupanti similitudini tra Algeria e Francia: «Ho dato molto in questi anni, ho scritto tanto, ho cercato di impegnarmi. Ma le pressioni sono troppo forti: in Algeria gli islamisti mi lanciano la fatwa, e adesso in Occidente c’è chi mi accusa di islamofobia. È un insulto immorale, un’inquisizione. In Francia è diventato troppo difficile esprimere le proprie opinioni».
«IMPOSSIBILE ESPRIMERE UN’OPINIONE». Nella terra che si vanta di essere Charlie, basta fare una minima critica all’islam per essere demonizzati e attaccati. «Ogni volta che scrivo qualcosa scateno reazioni eccessive, ricevo tonnellate di insulti e minacce e per fortuna anche manifestazioni di sostegno. Ma non mi trovo a mio agio, perché non sono un provocatore, sono solo un uomo libero che vuole esprimere la sua opinione. Questo non è più possibile». E a chi lo definisce xenofobo risponde: «La differenza fondamentale tra me e gli estremisti di destra è che loro criticano l’islamismo per rifiutare l’altro, io per accoglierlo. Il loro scopo è l’esclusione, il mio è la condivisione. Io non sono affatto islamofobo, dico che la religione deve essere una scelta, non un’imposizione. Ma la Francia è un Paese con molti tabù, e io adesso ne faccio le spese». Speriamo solo che Daoud ci ripensi e ricominci a scrivere, per non doverci privare di un autore che ha avuto l’acutezza di dare questa definizione dell’Arabia Saudita: «Un Isis che ce l’ha fatta».
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