Nonostante la toccante visita di papa Francesco a Lampedusa, l’estate 2013 ha dedicato scarsa attenzione alla questione immigrazione. Eppure l’accentuarsi del profilo emergenziale, esito delle tragedie che si consumano sulla sponda meridionale del Mediterraneo, e i riflessi della crisi sui lavoratori stranieri presenti in Italia, dovrebbero consigliare di conferire al tema quella centralità che, nel bene e nel male, ha conosciuto in anni passati.
Mentre ci si accapiglia sulla cittadinanza, non si affronta col coinvolgimento ampio che merita, e con un indispensabile aumento di risorse, la crescita delle domande di asilo e di protezione umanitaria. Si riesce contestualmente a non essere efficienti nelle espulsioni di coloro che non hanno alcun titolo a restare, e anzi meritano – perché hanno commesso reati – di essere mandati via il prima possibile, e a non saper dare un seguito di speranza reale, al di là del primo impatto, alla fuga da scenari di guerra o da persecuzioni dirette.
Eppure l’equilibrio fra rigore e accoglienza è essenziale. Governo non è solo Imu sì – Imu no, spread sotto controllo e qualche precario stabilizzato; è anche capire quale presente e quale futuro si ha in mente per i quasi sei milioni di non italiani che vivono in Italia. È coinvolgere nelle scelte le responsabilità dei partner europei. È non fermarsi agli slogan. È sforzo per individuare e garantire elementi di convivenza fra confessioni religiose differenti. È non immaginare modifiche legislative (alcune delle quali, per carità, necessarie) quali bacchette magiche che esonerino dalle fatiche del governo del settore. È comprendere che quest’ultimo coinvolge tutte le istituzioni, dai ministeri alle regioni ai comuni, e quindi può funzionare solo se realmente e quotidianamente orientato e guidato.